Economia

Mediobanca firma l'"ultimo" patto

Il prossimo cda sarà scelto dallo stesso istituto. Il nodo dei rapporti Nagel-Mustier

Mediobanca firma l'"ultimo" patto

Con l'ultimo patto di Mediobanca entra nel vivo il riassetto di Piazza Affari. Ieri infatti è stata depositata la lista dei consiglieri proposti dal patto di sindacato di Piazzetta Cuccia all'assemblea del 28 ottobre e che, presumibilmente, guideranno lo scioglimento dell'accordo parasociale da qui a un anno o al massimo due e la definitiva metamorfosi dell'istituto. Mediobanca punta infatti a focalizzarsi nel business bancario a 360° gradi, lasciando alla storia la vocazione «salottiera» delle origini. Giovedì era stata invece la volta di Unicredit, primo scocio di Piazzetta Cuccia, a varare una nuova governance e eliminare lo strategico tetto al 5% del capitale sui diritti di voto.

Più in dettaglio con il rinnovo del cda entra in vigore il nuovo statuto di Mediobanca che sfoltisce l'organo di governo con il taglio a 15 consiglieri (dai 17 attuali) di cui due posti per le minoranze (presumibilmente Assogestioni). Confermato il vertice: Renato Pagliaro (presidente), Alberto Nagel (ad), Francesco Saverio Vinci (direttore generale), oltre a Maurizia Angelo Comneno e Alberto Pecci (vice presidenti), quindi Marie Bolloré, Maurizio Carfagna, Maurizio Costa e Elisabetta Magistretti.

Entrano poi nel board César Alierta (ex numero uno di Telefonica), Valérie Hortefeux ( in quota Bollorè), Massimo Tononi (presidente di Prysmian, ex Goldman Sachs ed ex presidente di Monte Paschi) e Gabriele Villa. In uscita, invece, il vice presidente Marco Tronchetti Provera, in vista dell'addio al patto di Pirelli, Gian Luca Sichel, Alexandra Young, Marina Natale e Tarak Ben Ammar, Gilberto Benetton e Angelo Casò. Tra tre anni, con il prossimo rinnovo del cda, la lista, secondo quanto previsto dallo statuto, sarà presentata direttamente dal vertice uscente. Ma per allora lo storico patto di sindacato di Mediobanca, che per 70 anni ha gestito il destino di uno dei principali crocevia della finanza italiana, sarà ormai passato alla storia.

Per quest'anno la soglia minima di capitale necessaria al rinnovo del patto di sindacato (il 25%) è, o meglio, dovrebbe essere stata raggiunta. Solo Pirelli ha finora dato disdetta e, anche se formalmente i soci hanno tempo fino a fine mese per segnalare la volontà di imboccare l'uscita, sembra piuttosto improbabile che altri seguano, quest'anno, la Bicocca. La decisione di proseguire con il patto è tuttavia a tempo: lo scioglimento è in atto e si tratta di un procedimento inesorabile. Con l'ultimo rinnovo sarà appositamente prevista la possibilità di disdire la partecipazione al patto entro settembre 2018, un anno prima della sua scadenza naturale. A dettare i tempi dello smantellamento del salotto per eccellenza di Piazza Affari sarà, presumibilmente, la gestione del nodo Generali, un partecipazione che vale oro. Il 13% del Leone di Trieste rappresenta più del 40% della capitalizzazione di Mediobanca.

Ma gli interessi che ruotano intorno al Leone di Trieste sono diversi e non necessariamente convergenti. Nagel, dopo aver affermato che «la quota in Generali non è un dogma», vorrebbe mantenere il presidio attraverso la cessione dell'intera quota a un veicolo aperto al capitale di terzi. Ma la soluzione non sembra convincere Unicredit. Proprio il suo ad Jean Pierre Mustier, pur avendo più volte sottolineato come Mediobanca, «la 15° banca del gruppo», sia da ritenersi una partecipazione finanziaria, non sembra minimamente intenzionato a cedere spazio a eventuali concorrenti.

Il rischio d'altro canto è dietro l'angolo e ha un nome ben preciso: Vincent Bolloré che, proprio dal gruppo di Via Filodrammatici (di cui oggi detiene il 7,91% del capitale), ha iniziato nel 2001 la conquista del BelPaese.

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