Economia

"Il nuovo ministero ecologico? Vi dico perché è un rischio per il Paese"

Davide Tabarelli, presidente di Nomisma, ha forti dubbi sull'utilità di un Ministero della transizione ecologica. E avanza il dubbio che possa danneggiare il Pil italiano

"Il nuovo ministero ecologico? Vi dico perché è un rischio per il Paese"

Il Ministero della transizione ecologica, la trovata del gotha grillino per far passare il sì della base al governo a guida Mario Draghi, potrebbe trasformarsi in un’ennesima emorragia di fondi pubblici, questa volta di marca ecologista. A dirlo è Davide Tabarelli, presidente e fondatore di NE-Nomisma Energia e professore presso l’Università di Bologna. Il rischio è che le buone intenzioni si tramutino in altri sprechi di risorse pubbliche, come di recente avvenuto anche con gli incentivi alle fonti di energia rinnovabile.

Professore il Ministero della transizione ecologica può essere davvero utile all’Italia o c’è il rischio che si riveli un altro carrozzone?

“Non è una cattiva idea ma noi abbiamo già due ministeri, quello dell’ambiente e quello dello sviluppo economico, che da anni si occupano di queste cose. Quando nel 1986 fu istituito il Ministero dell’ambiente l’obiettivo era proprio la transizione ecologica perciò fare un ministero per la transizione ecologica vuol dire solo cambiargli il nome. Magari il Primo ministro vuole metterlo insieme al Mise, non so. Ogni ministero è fatto di tante direzioni, magari pensano di riunire insieme le direzioni del ministero dell’ambiente e quelle dell’industria e fare un unico ministero. Proprio come è successo in Inghilterra. Però c’è molta confusione, come al solito, il rischio è che diventi un carrozzone. Abbiamo già i due ministeri che ho citato più quello delle infrastrutture, magari mettendoli insieme ci sono dei risparmi”.

Chi lo dovrebbe guidare? Una figura politica o tecnica?

“Una figura politica, perché la politica ha il primato sulla tecnica. Io ho lavorato con il governo Dini ma le scelte sono politiche, quelle importanti almeno. Il ricorso a figure tecniche è lo specchio della crisi della politica che si deresponsabilizza pensando che i tecnici abbiano la verità. Ma la verità è politica e si trova dalla sintesi”.

Sono stati fatti gli esempi di Ministeri per la transizione ecologica in Francia e Spagna. Da loro ha funzionato?

“No, non ha funzionato. Ma è tutto il mondo della transizione ecologica che non funziona, perché si pongono degli obiettivi troppo ambiziosi, troppo irrealistici che non potranno mai essere raggiunti. In Francia hanno mirato a obiettivi rivoluzionari, del resto i francesi sono famosi per le rivoluzioni, però mica sempre ci riescono, nemmeno Napoleone c’è riuscito, e così questa volta. Io preferisco il caso molto più interessante della Gran Bretagna dove c’era il Department of trade and industry, nel quale hanno inserito il Department for climate change. Perché l’industria è il primo motore della ricchezza di un paese”.

Forse troppo spesso viene data più enfasi alle ragioni ambientali?

“L’industria fa l’occupazione e l’industria consuma molta energia. Pertanto bisogna che la consumi pulita ma bisogna anche che non la paghi troppo altrimenti le aziende chiudono e poi diventiamo bravissimi, quando siamo tutti morti e tutte le fabbriche sono chiuse, a essere ligi in termini ambientali. E poi, ultima cosa, sono le industrie quelle capaci di fare innovazione tecnologica. Perché se lei va a chiedere a tutti i rappresentanti di Legambiente, Greenpeace, WWF cos’è una fabbrica di auto non lo sanno. Parlano di transizione raccontando alle persone che ci sono soluzioni facili dietro l’angolo. E queste cose le dicono da 50 anni. Dichiamo che è stato affascinato anche il banchiere, Draghi. Del resto come si fa a non essere affascinati da queste cose belle, se poi a questo aggiunge che c’è la convinzione che ci sia un cataclisma climatico in corso”.

E non c’è?

“Io mi sto guardando le spalle perché i ghiacci si stanno sciogliendo e ho paura che qui a Bologna arrivi l’acqua, oppure che non ci siano più inverni ma non mi sembra sia così. Ecco diciamo che tutte queste idee, molto belle, aiutano tanto la politica che è priva di idee ed è molto superficiale”.

La transizione ecologica quali benefici economici porterà nel medio e lungo periodo. Se ne porterà?

“Io sono un’economista, l’economia ha la stessa etimologia dell’ecologia. Siamo cugini ma non andiamo molto d’accordo. Noi economisti riteniamo che tutti i benefici comprendano i benefici ambientali e che non ci sia bisogno dell’antimodernità per dire che ci sono dei benefici. Detto questo va riconosciuto che i vincoli ambientali che abbiamo posto in Europa negli ultimi 50 anni hanno migliorato la nostra qualità della vita. Quando ero ragazzo in Europa c’erano le piogge acide, gli alberi della Foresta nera si seccavano perché c’era lo zolfo nei combustibili. I benefici più grandi arrivano dall’innovazione tecnologica, queste sono le cose alle quali le persone sono interessate”.

Ma secondo lei la transizione ecologica aumenterà il PIL o la disoccupazione?

“Eh bella domanda. Entrambe le cose. Noi abbiamo avuto grossi sprechi in passato, gli incentivi alle fonti rinnovabili sono andati ad aumentare il PIL in Cina e non in Italia. E quella è stata la politica più importante e quella sulla quale si vuole puntare nei prossimi anni. È stato un insuccesso sotto questo aspetto. Perciò direi che crea più disoccupazione. Perché la transizione energetica aumenta i costi per le imprese e per i consumatori. Le imprese italiane diventano meno competitive rispetto alle cinesi. Noi in Italia abbiamo un problema di bassi consumi, dagli anni ’80, perché le persone non hanno fiducia nel futuro. Perché se le persone vengono tartassate con le tasse o con tasse nascoste hanno meno risorse per comprare, per esempio, la Panda. Che va a stimolare la Fiat. Il problema dell’ecologia è che è anti consumistica, e va bene perché ci sono degli eccessi, ma anche è anche contraria alla modernità”.

Quindi c’è il rischio che faccia più male che bene?

“Dietro la transizione ecologica, oltre alla buona fede e alla volontà di migliorare la qualità dell’aria e dell’ambiente, c’è un’esigenza politica. C’è la volontà di redistribuire il reddito perché si guarda ai profitti dell’industria come se fossero a danno degli operai e dei consumatori. Io vedo un atteggiamento profondamente anti industriale che è davvero una grande malattia. Questo è un problema che abbiamo, magra consolazione, mi tutta Europa. Invece in Cina non ce l’hanno per questo noi siamo destinati al declino”.

Nell’ultimo governo, e presumibilmente anche nel prossimo, si è data molta enfasi alla mobilità alternativa, pensiamo alle auto elettriche e ai monopattini. Perché l’Italia fatica ad aderire a questi nuovi modelli?

“Non è l’Italia che fatica. È tutto il mondo che fa fatica. Noi non abbiamo quote di mercato di auto elettriche molto diverse dagli altri paesi. Le vendite in Germania sono più alte perché hanno dato più incentivi ma sono anche più ricchi. La Norvegia è il paese che ha più auto elettriche al mondo perché dà incentivi molto consistenti, ma la Norvegia è un paese ricchissimo grazie al petrolio e al gas che esporta da noi. E questo è uno dei più grandi paradossi dei discorsi ecologici. L’auto elettrica non sta decollando da nessuna parte. Poi è vero che c’è molto interesse, che c’è richiesta, è vero che Tesla è un caso straordinario. C’è del movimento ma non è la soluzione immediata. Io vado in centro in bicicletta e sarei contento che se ci fossero tante auto elettriche perché non respirerei scarichi. Però una 500 elettrica costa 35mila euro, 25mila con gli incentivi. Una Panda, che si può permettere un operaio che nel ciclo di vita è altrettanto pulita, costa 10mila”.

Insomma le auto elettriche sono un giochino per ricchi.

“Esatto. Poi non dimentichiamo che noi italiani abbiamo il primato mondiale per le alternative alle auto a benzina e a gasolio, le auto a metano. Solo che il metano è da “sfigato” perché lo usano le persone a reddito basso, perché consuma poco. L’auto è un bene di massa, ma la superficialità dei discorsi politici di questi anni ha preferito concentrarsi sulle cose più spettacolari che possono permettersi in pochi. Anche io la vorrei l’auto elettrica perché è un giocattolino molto bello però è molto problematica, a partire dall’approvvigionamento energetico. E ricordiamo che in Italia il 65% dell’energia arriva da fonti fossili”.

Il Ministero della transizione ecologia dovrebbe risolvere anche il problema dello stoccaggio delle scorie nucleari rimaste sul nostro territorio.

“Bisogna fare un deposito in una delle aree individuate. C’è una legge del 2013.

In Giappone l’altro giorno due comuni si sono offerti di fare il deposito perché arriverà una valanga di investimenti su questi impianti”.

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