Il mondo globalizzato, iper-liberista e senza barriere, sembra accartocciarsi sotto la spinta dei nuovi protezionismi e la pressione dei movimenti populisti. La Brexit, Trump, così come il voto di ribellione, ridisegnano scenari; e la polvere su parole dimenticate, tipo «dazi», viene soffiata via. «Viviamo tempi interessantissimi», commenta Mario Deaglio, parafrasando Mao durante la presentazione della XXI edizione del Rapporto sull'economia globale e l'Italia che il professore di economia internazionale dell'Università di Torino ha realizzato col Centro Einaudi e il contributo di Ubi Banca. Ma la lunga marcia compiuta negli ultimi decenni dall'economia mondiale non porta verso magnifiche sorti e progressive: «Rischiamo una stagnazione secolare», dice tranchant Deaglio.
Sono parecchi i punti di attrito, irrisolti e forse irrisolvibili, che renderanno impossibile replicare i tassi di crescita di una volta. Per cominciare, c'è il nodo del debito, declinato nella versione pubblica e privata. Quello statale impedisce grandi investimenti infrastrutturali, quello delle famiglie è un freno ai consumi. Due problemi che si sommano al costante invecchiamento demografico, fenomeno che genera un eccesso di risparmio. «Inoltre - sottolinea Deaglio - le classi dotate di capacità imprenditoriale si assottigliano». Il dimagrimento più impattante è però quello della classe media, la più penalizzata dalle nuove tecnologie, dall'allargarsi della forbice tra produttività (+20% in 15 anni) e salari (+5%) e dalla conseguente ridistribuzione dei redditi. «Negli Stati Uniti - ricorda Deaglio - la middle class si è ridotta del 20% in 10 anni, passando dal 51 al 41% della popolazione». Trump deve anche a ciò la vittoria. Non che l'Italia sia messa meglio: «A causa della rivoluzione produttiva, il 10% dei posti è a rischio e al 35% dei lavoratori servirà una riqualificazione», avverte l'economista. A fronte di chi è in odore di precariato, negli Usa un 1% possiede il 40% della ricchezza nazionale. «Una mostruosa concentrazione, mai vista».
Per scansare la palude della stagnazione servirebbero risposte.
«Stop ai barconi? C'è bisogno che l'Africa cresca del 6%. Urge un piano Marshall», dice Deaglio. Ma l'Europa, stretta in una crisi di identità, demografica, delle finanze pubbliche, di mancata crescita e infine di potere, è «al buio». Difficile pretendere soluzioni.
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