
Non corre, ma marcia verso l'approvazione. La separazione delle carriere, che qualcuno dava per dispersa, è arrivata il 17 giugno nell'aula di Palazzo Madama e proprio ieri si è cominciato a votare il testo. L'opposizione prova a strangolare la norma con un migliaio di emendamenti, la maggioranza risponde con il canguro che funziona come una falciatrice. "Prima della pausa estiva - afferma Maurizio Gasparri, capogruppo di Fi al Senato - approveremo in prima lettura il disegno di legge costituzionale cui ha già dato disco verde la Camera". Insomma, pur con il fiatone, il convoglio prosegue il suo viaggio e ci avviciniamo alla metà del percorso.
Indietro, molto più indietro, invece l'altra grande riforma annunciata più e più volte, quella del premierato. In questo momento vanno avanti le audizioni in Commissione, poi il testo sbarcherà in aula, alla Camera. Quando? La domanda è più che legittima mentre la legislatura è arrivata a metà e pure oltre. Le agenzie sottolineano che la conferenza dei capigruppo di Montecitorio non ha messo in calendario l'esame delle due riforme. E questo, secondo le opposizioni, sarebbe il segno di una coalizione lacerata e confusa. Ma la riflessione non convince. "Non siamo affatto fermi sul fronte della giustizia - spiega Gasparri - il testo viene affrontato e votato in queste ore, può essere che si arrivi al contingentamento dei tempi, sono certo che il Senato approverà in fretta".
Per Chiara Braga, presidente dei deputati del Pd, non importa: "Maggioranza e governo sono vittime di loro stessi, con i decreti che segnano il calendario della Camera, dove non c'è nessuna delle riforme costituzionali, né madre né figlia". Una tesi che si può sostenere per il premierato, ancora imbottigliato a Montecitorio, ma che stride con quel che sta accadendo a Palazzo Madama. Questo non significa naturalmente che non si debba tenere d'occhio l'orologio. Si devono completare quattro passaggi, oggi siamo al secondo, inoltre ogni giro di valzer deve essere preceduto da un periodo di decantazione di tre mesi. E poi alla fine dell'iter si profila la non facilissima sfida del referendum. Quando gli italiani andranno alle urne per dire sì o no ai due Csm. "Ciò significa che i tempi del referendum entro giugno 2026 sarebbero strettissimi - osserva Enrico Costa, parlamentare forzista - e un qualsiasi contrattempo lo farebbe slittare a dopo l'estate del 2026". Insomma, si entrerà forse nella coda della legislatura, con tutta una serie di problemi e turbolenze. Le urne potrebbero sfiorare pericolosamente la scadenza elettorale, con le difficoltà del caso. Una vittoria risicata suonerebbe come una mezza sconfitta, d'altra parte non ci sarebbe più tempo per riscrivere le norme ordinarie necessarie per dare attuazione alla riforma. Basti pensare all'istituzione dell'Alta corte, sul piano disciplinare, o al tema divisivo e incandescente dei sorteggi.
C'è dunque chi profetizza: il nuovo Csm verrà eletto alla fine del 2026 ancora con il vecchio sistema e, insomma, la rivoluzione avverrà con calma, diluendo le polemiche, un quinquennio più in là.Per il premierato è invece difficile fissare i tempi. C'è chi immagina il finale sul binario morto. Ma la sensazione è che si provi ad arrivare fino in fondo, consegnando poi il referendum alla prossima legislatura.