Monini, l'olio extravergine che ha cambiato il gusto degli italiani

Zefferino Monini, terza generazione di famiglia, guida l'azienda fondata nel 1920. Il nonno ideò un prodotto che piacesse sia al Nord che al Sud

Monini, l'olio extravergine  che ha cambiato il gusto degli italiani

L'Italia è il primo Paese consumatore di olio d'oliva, seguito da Spagna e Stati Uniti, un primato che deriva da un'antica tradizione. Eppure, la gran parte degli oli a marchio italiano sono di proprietà straniera: Carapelli, Sasso, Bertolli appartengono alla stessa multinazionale spagnola Deoleo, quotata alla Borsa di Madrid e partecipata dal fondo inglese Cvc. Sagra e Berio da un anno appartengono alla Bright Food, che fa capo allo Stato cinese. Qualche anno fa l'Oleificio Mataluni ha riportato in Italia l'Olio Dante, anch'esso finito all'estero. Il principale marchio sempre rimasto di proprietà italiana è Monini, con sede a Spoleto, appartenente a Zefferino e Maria Flora Monini, terza generazione di una storia imprenditoriale esemplare: azienda e famiglia sono a tal punto compenetrate che i due fratelli non hanno esitato, nel 2002, a riacquistare la quota del 35% che era in mano alla Findim (Star) della famiglia Fossati. La Monini è stata fondata nel 1920 da Zefferino Monini, classe 1891, nonno dell'attuale presidente e ad, che è stato, in un certo senso, l'inventore dell'extra vergine di oliva, in un tempo in cui gli oli, prima di arrivare a tavola, venivano raffinati. Il solco tracciato da Zefferino senior ha portato, negli anni, a ribaltare i vecchi consumi: oggi in Italia l'80% dell'olio è extra vergine, quello d'oliva (raffinato) è il 18%, mentre quello di sansa (l'ultima spremitura di olive già spremute) rappresenta il 2%. Andando indietro nel tempo, era il contrario. L'azienda ha sempre puntato sulla qualità, di cui va orgogliosa. Il “Classico” è il primo extravergine sul mercato italiano, sia per volumi che per valori: “Il nonno ne creò il gusto per accontentare sia i palati del Nord che quelli del Sud”.

Monini è in ottima salute anche sotto il profilo economico. I 132 milioni di fatturato del 2014 hanno prodotto un ebitda di 10 e un utile netto di 5. L'indebitamento è vicino allo zero (58mila euro), e gli investimenti continui. Il cash flow serve a pagare subito, se non in anticipo, i frantoi per assicurarsi la produzione migliore. L'azienda – che al riacquisto del 2002 fu valutata 75 milioni – ha proprie coltivazioni di olivi in Umbria, nel Gargano e, da alcuni anni, in Australia: “Abbiamo piantato – spiega Zefferino Monini – 110 mila talee di olivi umbri e pugliesi. Dopo quattro anni il primo raccolto è stato strepitoso, con un prodotto identico a quello di origine. In più, il frantoio collocato al centro delle coltivazioni permette di spremere immediatamente le olive e di avere l'olio a un'ora e mezza dalla raccolta. Con Esselunga negli anni scorsi abbiamo lanciato, con una promozione apposita, l'extravergine Monini 100% australiano”. Monini è una piccola multinazionale, con società in Polonia e negli Stati Uniti, e presenze su importanti mercati, tra i quali Russia e Brasile, oltre naturalmente a tutta l'Europa.

L'Italia non è autosufficiente in fatto di materia prima: il consumo interno più l'export rappresentano tre volte la produzione nazionale. In linea, anche Monini importa il 70% del proprio prodotto: dalla Grecia innanzitutto (“il sapore è molto vicino a quello del Centro e Sud Italia”), ma anche dalla Spagna, che negli anni ha saputo condurre una politica di investimenti molto seria. Monini sta assaggiando anche i mercati di Cina e India. La Cina, racconta Zefferino, si sta organizzando anche da sola, dopo aver individuato le regioni climaticamente più adatte; il tutto con l'ausilio di agronomi e di tecnici sia spagnoli che italiani: il nostro Paese, non va dimenticato, è leader nella fabbricazione delle macchine per la produzione.

Gli oleifici non si avvantaggiano di economia di scala, sensibili solo nella parte che riguarda i processi industriali, perchè l'olio extravergine è un prodotto con caratteristiche artigianali: quindi i Monini non devono fare i conti con necessità di crescere per stare sul mercato (e infatti l'unica acquisizione recente riguarda non l'olio, ma

l'aceto balsamico). I conti, piuttosto, vanno fatti con le logiche spesso ciniche della grande distribuzione, sempre attenta al prezzo, e l'olio “è il prodotto più soggetto a promozioni, frequentemente un richiamo sottocosto”.

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