I sindacati marciano compatti contro il piano industriale della Popolare di Milano formulato dall'ad Piero Montani. La strategia sarà rifinita questa mattina, ma di certo domani le forze sociali diranno al responsabile delle risorse umane Giovanni Rossi che non accettano «rottamazioni» di massa per raggiungere l'obiettivo dei 700 addetti da tagliare. Chiederanno a Montani e agli alti dirigenti Bpm non solo di autoridursi lo stipendio ma di mettere mano al portafoglio per finanziare - come ha auspicato la stessa Abi - il nuovo fondo per l'occupazione del settore. In caso contrario, sarà rottura come è già accaduto venerdì a Veneto Banca e per la prima volta da decenni in Bpm potrebbe essere sciopero. «Non accetteremo mai pre-pensionamenti obbligatori perché non vogliamo creare precedenti che sarebbe sfruttato dall'intero sistema per i piani in discussione», attacca il leader della Fabi Lando Maria Sileoni. «Il piano industriale di Montani è improponibile, respingeremo ogni automatismo di adesione al Fondo», rincara il capo della Uilca, Massimo Masi. L'obiettivo - spiega il leader della Fiba, Giuseppe Gallo - è raggiungere un altro equilibrio sul risparmio dei costi. La base di Bpm è in fermento anche per la morte dell'associazione Amici ma i sindacati sono pronti a mettersi al tavolo per plasmare un nuovo soggetto unitario che, rispettando le richieste di Bankitalia, «salvaguardi il modello partecipativo dei lavoratori», insiste Sileoni: «Non accetto lezioni da chi utilizza i mezzi di informazione senza metterci la faccia».
Le prime mosse di Sileoni hanno tuttavia già attirato l'attenzione di Montani che il 20 settembre, durante un consiglio di gestione «allargato» al comitato per i controlli interni, avrebbe mostrato la propria contrarietà, tra il silenzio dei presenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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