Piccini: "Montepaschi lascerà Siena. Ora alla città serve un futuro"

L'ex sindaco: "I nuovi soci chiederanno nuova sede, piano e governance. Classe dirigente inadeguata, servono competenze nuove"

Pier Luigi Piccini, sindaco di Siena per 10 anni dal 1990 al 2001 ed ex dirigente di Mps, licenziato prima dal Pds, poi anche dalla banca, il dissesto della Fondazione lo prevedeva da anni. Ora la partita si è chiusa con l'Ente calato dal 50 al 5,5% del Monte dei Paschi, destinato al 2,5% e con un patrimonio che da 10 miliardi si è decimato.

«Era una storia annunciata, era nei numeri. Almeno dall'acquisizione di Antonveneta».

Dica che succederà.

«Che la banca sembra destinata a lasciare Siena perché non è un territorio con una vocazione finanziaria. Tenere la banca a Siena si rivelerà diseconomico per i nuovi soci. Il settore bancario è maturo e gli 8.500 esuberi del piano industriale sono solo l'inizio di una grande esternalizzazione. Non è un caso che l'innovazione è già altrove, con la internet bank nata a Milano».

Via dopo 540 anni?

«Stare a Siena era giustificato solo politicamente, ma non da un punto di vista industriale. La politica ha assorbito per anni il costo di mantenere la banca in una piazza inadeguata. I margini erano alti, si poteva fare. Ora i margini sono minimi. I nuovi soci faranno i loro conti. Facilmente chiederanno un nuovo piano industriale e una nuova governance».

Dica della politica allora: il Pd ha perso una banca?

«Si è spezzato un equilibrio che durava da anni. Finché Giuseppe Mussari è stato in Fondazione questa controllava il Monte. Quando è passato in banca, è accaduto il contrario. Ma al vertice c'è sempre stata la politica, il Pds poi Pd, nazionale e locale. E questa città condizionava, aveva rapporti forti con il Pd romano e arrivava fino all'opposizione».

E adesso?

«Ci saranno conseguenze locali e nazionali. La città deve rifare i conti. E direi anche la Toscana. Siena da soggetto condizionante è diventato oggetto condizionato. Viveva di una sua autoreferenzialità: ora dovrà imparare a integrarsi con il mondo. E questo gruppo dirigente è del tutto impreparato a questa sfida».

La presidente della Fondazione non è adeguata?

«Finora ha fatto solo quello che doveva fare. E se terrà un posto nel cda di Mps sarà solo un legame simbolico. Ora la sfida è la Fondazione del futuro. E né Antonella Mansi, né la deputazione amministratrice sono in grado di pianificare una strategia. Né lo è la politica perché ha un tempo troppo breve, che dura da una campagna elettorale all'altra. Ora serve ragionare su tempi lunghi. Ci vuole un progetto di qui al 2030-2035».

Cosa intende?

«Bisogna mettere in campo e attivare competenze vere, progetti, persone, cervelli. La Fondazione deve decidere come investire le risorse rimaste senza poter più contare sulle cedole di Mps. È una sfida: la ricollocazione di un intero territorio. E il territorio deve sapere quello che vuole».

Ma a Siena hanno capito cosa è successo?

«No. Confondono un atto dovuto con il recupero di un ruolo. Ma non lo si recupera in questo terreno. Serve un rilancio e servono persone nuove».

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