Mps, Profumo e Viola pronti all'addio

Poteva essere l'assemblea del definitivo rilancio di Mps dopo un anno di vicissitudini (aggravate dall'esplodere a gennaio dei dossier Alexandria e Santorini), ma quella odierna sarà probabilmente l'assise che avvicinerà il passo d'addio per il presidente Alessandro Profumo e l'ad Fabrizio Viola.
La replica del numero uno di Rocca Salimbeni, pubblicata alla vigilia di Natale, suona come una premessa all'epilogo di una storia di risanamento cominciata diciotto mesi fa. La banca, si legge nella nota, «sarebbe esposta a gravi rischi nel caso in cui l'aumento di capitale fosse posticipato come auspicato dalla Fondazione». Affermazione suffragata anche dal parere del professor Piergaetano Marchetti, secondo cui l'interesse del «socio di riferimento» Fondazione Mps, ancorché legittimo, non collima con quello di tutti gli azionisti, anche perché potrebbe esporlo al rischio di non costituire in futuro un consorzio di garanzia dell'aumento alle stesse condizioni.
Ecco perché Profumo ha già anticipato l'addio, come «ciascun membro» del cda potrebbe assumere determinazioni di «natura personale» in caso di mancata approvazione della delibera. Nella prima convocazione di stamattina pertanto si consumerà lo scontro con l'ente presieduto da Antonella Mansi che, in virtù del suo 33,5%, avrà buon gioco nell'ottenere un rinvio a maggio della ricapitalizzazione imposta dall'Ue per dare l'ok ai 4 miliardi di Monti-bond. Salvo sorprese, non sono ipotizzabili mediazioni che possano far cambiare idea ai vertici dell'istituto.
Ma che ne sarà di Mps e della Fondazione? Partiamo dall'azionista di riferimento. La richiesta di posticipo nasce da un'esigenza economica che si è conciliata con gli auspici della classe politica senese. Palazzo Sansedoni ha ancora un debito con le banche di 350 milioni e un patrimonio costituito dalla partecipazione nella banca, peraltro gravato da pegno (che si escute automaticamente a 0,12 euro). L'aumento sarebbe stato attuato a un prezzo molto svantaggioso per l'ente senza darle il tempo di cedere parte della quota per ripianare l'esposizione. Anche per questo motivo si sarebbe pensato (con l'avallo del Tesoro) a una soluzione-ponte, cioè lo swap di un 20% circa con Fondazioni «amiche»: Cariplo in primis e Cariverona con Compagnia di San Paolo. Queste ultime però si sarebbero chiamate «fuori» anche per il premio consistente attribuito ai titoli Mps. Impraticabile l'ipotesi-Cdp, perché la Cassa non investe in società in perdita e, soprattutto, cerca di evitare al massimo le sovrapposizioni con la vigilanza di Bankitalia.


Mps è destinata a non eseguire l'aumento a gennaio e a rappresentare un doppio rischio per l'ente: senza rafforzamento le quotazioni potrebbero scendere, a meno che non arrivi un cavaliere bianco. Senza aumento, l'Ue spingerà perché i Monti-bond siano convertiti: la banca sarebbe nazionalizzata e la fine della storia di Siena sarebbe già scritta.

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