I soldi, tanti soldi, li ha trovati. Bussando alla porta della crème de la crème del credito. Morgan Stanley, Bank of America, SocGen, Bnp Paribas, Mizuho Bank e Mitsubishi Financial Group gli hanno aperto, mettendogli a disposizione 25,5 miliardi. Gli altri quattrini, qualcosa come 21 miliardi, usciranno dalle sue tasche. Così, con una potenza di fuoco pari a 46,5 miliardi di dollari, Elon Musk è pronto a dar la scalata a Twitter.
Take over quasi certamente ostile su cui il guru di Tesla, peraltro galvanizzato ieri da una trimestrale coi fiocchi, sta ancora meditando. Aspetta una risposta, ma dal cda è finora uscito soltanto un flebile cinguettio, giusto per confermare che la proposta di acquisto è arrivata e che la si sta valutando nell'interesse di tutti gli azionisti.
Da quando, con la grazia di un ippopotamo, ha iscritto il suo nome nel libro soci del social network dopo averne comprato oltre il 9%, l'uomo più ricco al mondo ha fatto di tutto per inimicarsi il vertice della società, criticandone l'eccesso di politically correct, proponendo un tasto di modifica e dichiarando di voler mettere becco su tutto, in particolare su nodi nevralgici come la governance, le strategie e il management. L'ad di Twitter, Parag Agraval, ha provato ad arginare l'esuberanza di Musk, proponendogli un posto in consiglio in cambio dell'impegno a non oltrepassare del 14,9% di capitale. Per tutta risposta ha ricevuto un no secco nel giro di 24 ore.
Da allora, sono passati 15 giorni durante i quali Musk ha preparato l'offensiva, offrendo in prima battuta, la scorsa settimana, 43 miliardi per mettere le mani sulla società. Venerdì scorso è arrivata la contromossa del board sotto forma di una poison pill per contrastare l'ormai imminente Opa non amichevole. In pratica, se una persona o un gruppo acquisisce la proprietà effettiva di almeno il 15% delle azioni ordinarie in circolazione senza l'approvazione del consiglio, gli altri soci potranno acquistare titoli aggiuntivi a sconto. Un modo semplice per diluire la quota dell'aggressore e rendere più onerosa la scalata. Qualche analista è convinto che, proprio a causa della pillola avvelenata, Musk non riuscirà a finalizzare l'operazione. Anche perché, dopo aver lavorato in passato con Goldman Sachs, il consiglio si è rivolto a JP Morgan per difendersi.
Anche se pare profilarsi una battaglia con le principali merchant bank a stelle e strisce su fronti opposti, Wall Street non sembra particolarmente eccitata. Ieri i titoli con la sigla TWRT, protagonisti di vistosi rally nelle scorse settimane, hanno avuto una fiammata a ridosso dei 48 dollari prima di scivolare a 46,57, un valore quasi invariato rispetto a mercoledì scorso e ben lontano dall'importo offerto dal patron di Tesla. Il mercato, di fatto, sta dicendo che non ci sarà una guerra a colpi di rialzi del prezzo per contendersi la piattaforma.
In attesa di vedere quale piega prenderà la Twitter-saga, Musk si coccola la trimestrale della sua creatura, salutata dalla Borsa di New York con un balzo del 5%. Merito di risultati superiori alle attese, a cominciare dai 3,3 miliardi di profitti, il miglior risultato di sempre. Il fatturato fra gennaio e marzo è stato di 18,76 miliardi, per l'87% ottenuto dalla vendita di auto (il resto arriva da batterie ed energia solare).
La decisione di inaugurare due stabilimenti in Germania e nel Texas ha permesso di compensare le chiusure, causa Covid, che hanno colpito l'impianto di Shangai. Sarà anche visionario, eccentrico ed eccessivo, ma a volte Musk è perfettamente calato nella realtà come un industriale della vecchia scuola.
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