Economia

È nato il primo eurobond: tutti lo vogliono e costa niente

Raccolti 20 miliardi, ma la domanda è stata sette volte più alta. Durerà 10 anni e rende meno dello 0,1%

È nato il primo eurobond: tutti lo vogliono e costa niente

Fino a non molto tempo fa, erano i fiori del male. Pura gramigna infestante, l'emblema nefasto del debito in comune contro cui gli alfieri dell'austerity erano pronti a sguainare lo spadone. Con la pandemia a rovesciare il tavolo delle regole risalenti a Maastricht, gli eurobond non sono invece più brutti, sporchi e cattivi. Sdoganati dal Recovery Fund, di cui sono l'architrave per finanziarne la dotazione di 800 miliardi, hanno debuttato ieri sui mercati col botto: tempo un'ora, e il consorzio di collocamento, fra cui figurano Intesa e Mps, è stato travolto dall'onda alta delle richieste, superiori ai 100 miliardi. «La domanda è stata superiore di sette volte l'offerta, siamo riusciti a ottenere tassi inferiori allo 0,1%», ha spiegato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Un successone.

Il bollino della tripla A che accompagna questa tranche decennale da 20 miliardi, la prima di una serie di emissioni previste per quest'anno per un importo totale di 80 miliardi, è del resto un marchio di garanzia. A cui si aggiunge, come ulteriore elemento di appeal, un rendimento dello 0,06%: Btp a parte, è il solo tasso d'interesse positivo rimasto all'interno dell'eurozona. Perfino il titolo a cinque anni della Grecia è finito lunedì sotto la linea di galleggiamento.

I tempi sembrano quindi cambiati rispetto alle rigidità mostrate durante la fase più acuta della crisi del debito sovrano. Quando, era la fine del 2010, l'allora ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, propose l'istituzione di una Agenzia europea del debito, ritenuta l'unica strada per uscire dalla tempesta. C'è voluto un decennio, contrappuntato dalla macelleria sociale compiuta ad Atene sotto la regia dell'ex ministro tedesco Wolfgang Schaeuble e dall'ostinato mantenimento oltre ogni ragionevole limite delle regole del Patto di stabilità, per riconoscere che l'unione fa la forza. In particolare quando - citando appunto Tremonti - sconfitto un mostro, ne spunta subito un altro e le munizioni per combatterlo sono finite.

Il Covid è stato il Godzilla delle crisi, e ha imposto un ravvedimento operoso. Accettato, tuttavia, obtorto collo dai cosiddetti Paesi frugali che fino all'ultimo hanno provato a depotenziare il Next Generation Ue. Il rischio, quindi, è che gli eurobond si risolvano in una misura one shot destinata a esaurirsi entro il 2026, una volta assolto il compito di erogare prestiti e sovvenzioni ai Paesi membri.

Pur essendo un evento senza precedenti nella storia dell'Unione, le obbligazioni comunitarie non sembrano ancora avere un consenso talmente forte da innescare un Hamilton moment, l'atto con cui alla fine del 700 vennero messi in comune i debiti che 13 colonie avevano accumulato durante la guerra per l'indipendenza dall'Inghilterra, ponendo così la pietra miliare per la nascita degli Stati Uniti d'America. In Germania, per esempio, la Corte costituzionale ha dato un via libera preliminare al Recovery Fund, ma ha anche avvertito che sarebbe inammissibile creare strumenti permanenti che avessero (per Berlino, ndr) come conseguenza un'assunzione di rischi per le decisioni prese da altri Paesi. C'è poi la cosiddetta credibilità internazionale, l'alibi sempre pronto per mettere all'indice la mutualità dei debiti. Gli Usa, il cui debito federale ha sfondato il muro dei 28mila miliardi di dollari (più gli 11.500 miliardi in quota corporate), non paiono soffrire di questo problema.

Ciò che sarà dell'Europa passa dalle toghe rosse di Karlsruhe, ma soprattutto dalla Bce. I falchi spingono per uscire in fretta dai piani di stimolo: se l'avranno vinta, sugli Eurobond calerà il sipario.

E anche sul sogno degli Stati Uniti d'Europa.

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