Col passare delle settimane, attorno alla riunione di giugno della Federal Reserve, che si concluderà oggi con l'appendice della conferenza stampa di Ben Bernanke, si è creata la stessa atmosfera carica di elettricità che precede il Super Bowl. Bernanke ha il compito più gravoso: riuscire a fare meta, misurando con la precisione di un quarter back le parole sulla rimozione delle misure di stimolo. Una parola di troppo, o mal interpretabile, sulla tempistica dell'exit strategy, rischierebbe di innescare l'immediata reazione di mercati caricati a molla.
Il consensus degli analisti si è via via coagulato sull'ipotesi che il numero uno della banca centrale Usa manterrà una linea rassicurante: niente fughe in avanti, insomma, che porterebbero a un affrettato rallentamento degli acquisti mensili di bond per 85 miliardi di dollari. La ripresa, dicono, non ha ancora un passo deciso e necessiterà della stampella della Fed almeno fino al 2014. Per la stretta sui tassi, occorrerà aspettare il 2015. Anche perché ogni aumento dell'1% del costo del denaro vale un aumento di 80 miliardi del servizio del debito.
Non tutti, però, accreditano così tante chance alla posizione attendista del successore di Greenspan. Secondo indiscrezioni riportate dal Financial Times, Bernanke segnalerà che il giro di vite è vicino, ma ammorbidirà l'impatto delle sue affermazioni sottolineando che qualunque decisione dipenderà dall'andamento dell'economia. Per Bernanke, del resto, calibrare al meglio l'exit strategy significa non lasciare veleno in dote a chi prenderà il suo posto dopo il prossimo 31 gennaio. Molto improbabile, infatti, una sua riconferma dopo le parole di Barack Obama: «Bernake ha fatto un ottimo lavoro, ma è rimasto più di quanto volesse». Giunto al suo secondo mandato dopo essere stato nominato del 2006 dall'allora presidente, George W.
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