Le nozze Banco-Bpm ora sono (quasi) fatte

Con l'ok dei sindacati, il fronte del sì agguanta il quorum di 6.000 voti. La mina astensione

L'assemblea dei soci della Banca Popolare Milano che sabato dovrà decidere se approvare la fusione con il Banco Popolare di Pier Francesco Saviotti assomiglia sempre più a un plebiscito: sono oltre 12mila, più di quelli dello scontro tra Matteo Arpe e Andrea Bonomi del 2011, i biglietti staccati per prendere parte a un'assise caricata di peso politico per l'intero settore.

La vecchia guardia dei soci-pensionati Bpm darà battaglia ma, malgrado i «cecchini», dipendenti e i soci esterni della cooperativa guidata da Giuseppe Castagna dovrebbero riuscire a depositare nelle urne i circa 5.800-6.000 voti, che si stimano necessari per centrare il quorum dei due terzi richiesto per la fusione con il Banco. A pensarla così, oltre agli alchimisti del voto di Piazza Meda (capaci in passato di precisione millimetrica nella stima dei flussi), è Piazza Affari, dove Bpm ha guadagnato l'1,2% e il Banco il 6%.

Il dato saliente è emerso ieri nella conferenza tenuta dai sindacati del credito, tutti schierati «senza se e senza ma per Verona»: il 95% dei dipendenti-soci di Bpm (7mila su un organico di 7.700) ha strappato il biglietto per partecipare all'assise. Degli oltre 12mila soci (deleghe comprese) che hanno prenotato un posto, 6.650 dovrebbero quindi indossare la casacca Pop. Milano. I dissenzienti ci saranno, ma finora la larga maggioranza degli addetti (quasi 9 su 10 ha una tessera) si è mossa di concerto con le sigle di categoria Fabi, Fisac, First e Uilca.

Numeri a parte, c'è una ragione «politica» che fa pensare che la fusione con il Banco si farà: le nozze Milano-Verona, sono infatti ad oggi l'unico frutto della riforma Renzi che ha imposto alle coop il salto verso la spa e quindi appaiono un banco di prova per la stessa azione del governo. Nelle ultime assemblee di Pop Milano, le presenze reali si sono peraltro attestate al 70-75% delle prenotazioni. Nelle urne, quindi, potrebbero essere depositati 8.500-9mila voti, portando a 6.000 il quorum necessario per l'ok al Banco, sommando ai voti a favore degli interni le circa mille schede dei soci esterni guidati da Piero Lonardi.

In altri termini, si stima che per fermare tutto le due correnti del «partito» dei pensionati (800 persone circa) contrari a Verona (Patto per la Bpm e Lisippo) dovrebbero raccogliere 2.500 «no» rispetto ai 1.800-2.000 di cui sono oggi accreditati. Lo statuto Bpm permette loro di avere fino a 10 deleghe ciascuno, ma pur considerando la protesta che serpeggia tra gli addetti, l'impresa è tutta in salita. In ogni caso tanto più sarà massiccia la presenza in assemblea, più sarà ardua la battaglia dei pensionati. Da qui lo sforzo di Castagna a cui i sindacati hanno strappato garanzie mai viste su welfare e prepensionamenti - per favorire la partecipazione all'assise. Compreso un discusso concorso spese (130mila euro lo stanziamento): il Patto per la Bpm ha urlato a indebiti condizionamenti sul voto, il banchiere ha ribadito per iscritto la correttezza del proprio operato, invitando il patto stesso a non fare incetta dei dati personali degli addetti per scopi elettorali. Insomma, le mine nascoste sono l'astensionismo e il crescere delle diserzioni in caso di assemblea fiume.

Il capo della Fabi, Lando Maria Sileoni ha auspicato che Consob e Bankitalia vigilino sullo svolgimento dei lavori governati dal presidente del Cds, Nicola Rossi. Uomo vicino ai pensionati e freddo con il Banco: Rossi «dovrà comportarsi in modo super partes. Alla prima situazione che possa sembrare illegale, ci rivolgeremo alla magistratura».

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