Ok il turismo, ma l'Italia non scordi l'industria

Stimoli fiscali a lungo termine, ridimensionamento delle burocrazie e giustizia civile celere sono indispensabili per far riguadagnare terreno all'industria Italiana a livello internazionale

Ok il turismo, ma l'Italia non scordi l'industria
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La stagione estiva volge all'epilogo, mai come in questi ultimi anni il turismo e l'attrattività dell'Italia sono stati fondamentali per la tenuta della nostra economia e ancor più dell'occupazione. Il terziario, insieme all'agroalimentare, sta costituendo, a differenza del passato, l'asse portante del nostro sistema socio-economico. Vero è che il potere attrattivo dell'Italia è straordinario tra clima, storia, arte, paesaggio, enogastronomia. L'afflusso turistico estero, e la spesa procapite che ne consegue, hanno avuto impennate sovente collegate anche ai cambi monetari, particolarmente vantaggiosi soprattutto per il più ambito dei turismi che è quello statunitense. Sta galoppando l'idea che il terziario diventi sempre più prima fonte di attività e quindi di incidenza sul reddito e il lavoro del nostro Paese.

Il limite degli accessi per esigenze di spazio disponibile colpisce mete ambite come Roma, Venezia, Firenze, Milano ormai non solo a luglio e agosto, ma per ben oltre due terzi dell'anno. Le nuove forme di ospitalità, in gran spolvero, portano allo spopolamento delle residenze stabili, con i costi di soggiorno per la popolazione business e studentesca diventati ormai insostenibili. A parte il virtuoso esempio dell'Università Bocconi che ha un vero campus, ovvero cittadelle integrate nel territorio che offrono coinvolgimento dei residenti stabili, non c'è all'orizzonte in nessuna delle città citate qualcosa di paragonabile e intanto la micro speculazione indotta da domanda e da opportunismo prende il sopravvento. Ma se il tema dei flussi è essenziale, non si può dimenticare il problema della concorrenza. Se Roma su arte e cultura - Parigi e Londra a parte - può non avere eguali, così non è per le eccellenze estere balneari e agresti-montanare, in cui il peso attrattivo è molto più bilanciato dai costi di soggiorno, dai tempi di viaggio e spostamento e dalla qualità dei servizi, aspetti su cui si possono avere delle perplessità.

È quindi indispensabile puntare ad un mix socio-economico che deve riavere nella manifattura una componente almeno di pari importanza a quella del terziario. L'Italia brilla ancora nell'agro-alimentare con stelle di prima grandezza come Barilla, Ferrero, Lavazza, Campari. Purtroppo però non è più così per settori industriali che hanno consentito il boom italiano, in primis l'automobile, seguito dagli elettrodomestici, l'elettronica di consumo, settori che sono competitivi in altri paesi concorrenti: Francia e Germania ma anche Spagna, grazie ad una politica industriale attrattiva. Vero che nell'arredo e nel design primeggiamo, così come nel fashion, dove però parte rilevante delle proprietà è in mani estere. Grandi evoluzioni ci sono state nel farmaceutico e nell'industria del packaging, per merito di una impreditoria illuminata.

Servirebbe però una politica industriale che aiuti a riposizionare l'industria manifatturiera, mantenendola in mani italiane, con l'obiettivo non solo di alimentare le nostre grandiose filiere, ma anche di diventare rifermento

per gli stranieri in casa loro. Stimoli fiscali a lungo termine, ridimensionamento delle burocrazie e giustizia civile celere sono indispensabili per far riguadagnare terreno all'industria Italiana a livello internazionale.

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