Non solo i maxi-dazi sulle esportazioni negli Usa di acciaio (25%) e allumino (10%); ora, Donald Trump alza il tiro e minaccia di imporre forti tassazioni anche sulle automobili che dall'Europa vengono riversate sul mercato americano. Il capo della Casa Bianca lancia i suoi strali attraverso un tweet: «Se l'Ue vuole ulteriormente aumentare le sue massicce tariffe e barriere commerciali verso le aziende del nostro Paese, noi daremo semplicemente il via a una tassa sulle auto che vengono esportare negli Stati Uniti. Gli Usa - precisa il presidente in un secondo tweet - hanno 800 miliardi di dollari come deficit commerciale a causa delle dei nostri stupidi accordi e delle nostre stupide politiche; posti di lavoro e la ricchezza vanno a finire in altri Paesi che si sono approfittati di noi per anni».
Di fatto, si è sull'orlo di una guerra commerciale che, se concretizzata, rischia di stravolgere le strategie dei costruttori del Vecchio continente. E a soffrire sarebbero soprattutto quelli tedeschi, già messi nel mirino tempo fa dallo stesso Trump, mentre è tutto da verificare l'impatto sul gruppo italo-americano Fiat Chrysler Automobiles legato a doppio filo proprio con gli Stati Uniti. Il Lingotto ha negli Usa il suo primo mercato, dal quale derivano anche i maggiori profitti. Il grosso della produzione avviene, però, in quel Paese tra Jeep, Ram, Dodge e Chrysler, mentre le Fiat 500 vendute sono ancora prodotte in Messico. Quindi, i dazi di Trump potrebbero colpire le esportazioni, dall'Italia, di Jeep Renegade e Fiat 500X (prodotte a Melfi), delle Alfa Romeo Giulia e Stelvio (nascono a Cassino) di Maserati (tra Mirafiori con Levante, Grugliasco con Ghibli e Quattroporte, Modena con le sportive) e Ferrari (Maranello), quest'ultima in carico direttamente alla holding Exor.
Preoccupato è il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, che ha pure replicato alla minaccia di Trump con un tweet. «La scelta di Trump di non escludere dai dazi l'Ue - scrive Calenda - rischia di avere serie conseguenze che vanno ben oltre quelle economiche. Ci troviamo di fronte a un'altra frattura in un Occidente già diviso e indebolito. L'Ue - aggiunge - deve avere una reazione misurata per non innescare una guerra commerciale».
I colossi dell'auto tedeschi, dal Gruppo Volkswagen a Mercedes-Benz e Bmw, che pure producono negli Usa, sono però i costruttori europei più esposti. Non è un caso che la Germania fa dell'export il suo asso nella manica. Già all'inizio di febbraio, in proposito, la Casa Bianca aveva puntato il dito contro Berlino, lamentando una forte disomogeneità tra i dazi applicati, che renderebbe più conveniente per un americano acquistare una vettura dall'estero. In pratica, sui veicoli gli Usa applicano tasse del 2,5%, l'Europa del 10% e la Cina del 25 per cento.
A questo punto, vista l'aria che tira, c'è da aspettarsi una settimana di passione per i mercati finanziari, dopo il venerdì nero coinciso con l'annuncio dei dazi su acciaio e alluminio, che ha visto la sola Fca perdere a Milano il 5,7%. Oltre che i produttori di veicoli, a subire le conseguenze dell'ira di Trump sarebbero anche le aziende dell'indotto, quelle della componentistica. Solo per l'Italia, a esempio, il business delle imprese che esportano nell'area Nafta è ammontato, nel 2017, secondo i dati Anfia, a 812 milioni, con un saldo attivo di 317 milioni. Gli ordini maggiori arrivano comunque dal Messico.
Da Bruxelles, il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, ha replicato a Washington spiegando che l'Europa potrebbe considerare di imporre dazi su famosi prodotti americani, compresi «le Harley-Davidson, il bourbon e i blue
jeans; noi vorremmo una relazione ragionevole con gli Usa, ma non possiamo semplicemente mettere la testa sotto la sabbia». L'Ue penserebbe a tariffe doganali del 25% su circa 3,5 miliardi di dollari di importazioni dagli Usa.
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