Economia

Le pensioni saranno "stravolte": che cosa cambia sugli assegni

Tra aspettativa di vita che aumenta e crisi Covid, dal 2021 le pensioni potranno subire tagli. Incognita Pil. Ecco chi rischia

Le pensioni saranno "stravolte": che cosa cambia sugli assegni

La speranza di vita aumenta e le pensioni diminuiscono. Se da un lato può esserci anche la "scusa" legata al Covid, dall'altro bisogna prendersela con la norma in vigore in Italia.

Ecco cosa cambia

Come abbiamo scritto pochi giorni fa su Ilgiornale.it, gli assegni saranno tagliati in un range compreso tra lo 0,3% e lo 0,7%: chi andrà in pensione nel 2021 dovrà fare i conti con una quota contributiva pensionistica un po' più bassa di chi si ritirerà entro il 31 dicembre di quest'anno. Se l’impatto sarà minimo per chi ha il retributivo fino al 2011, diventa più evidente per chi, al contrario, ricade nel sistema contributivo puro o nel misto.

Quindi, dal momento che le statistiche parlano di un aumento della sopravvivenza, l’importo annuale delle pensioni calerà in maniera proporzionale adeguandosi alle nuove aspettative di vita. In generale, i coefficienti cambieranno in base all’età: dal 2021, lasciare il lavoro a 57 anni comporterà un coefficiente pari a 4,186%, ovvero l’equivalente di un divisore di circa 24. Quest’ultima cifra rappresenta gli anni teorici in cui verrà percepito l’assegno. La riduzione rispetto al 2019? Dello 0,33%.

Over 65. Il discorso è diverso se va in pensione un lavoratore di 65 anni. In quel caso, il coefficiente calcolato (frutto di alcune formule contenute nella legge Dini che si applicano ai dati demografici Istat) passa a 5,22% e un divisore di poco oltre 19. L’assegno si riduce quindi dello 0,48%. A 71 anni, invece, la percentuale tocca quota 6,466% ed una variazione al ribasso rispetto al 2019 del -0,72%.

Governo assente

Quindi, chi andrà in pensione dal gennaio 2021 subirà un'altra sforbiciata rispetto a chi l'ha preceduto. Il governo, al momento, non ha preso provvedimenti in tal senso. E la vecchia riforma Dini potrebbe ritorcersi contro di noi perché prevede che i contributi versati dal 1996 si rivalutino moltiplicando il montante contributivo per il tasso di capitalizzazione, che si ottiene facendo una media rispetto al Pil degli ultimi cinque anni.

È quasi certo che, a causa del Covid, il Pil italiano del 2020 calerà intorno al 10% e di conseguenza il tasso di capitalizzazione, che sarà più basso del previsto. Ma un precedente fa ben sperare: come si legge su Liberoquotidiano, nel 2015 il Prodotto interno lordo era sceso notevolmente negli anni precedenti e Renzi era intervenuto per stabilire che, in nessun caso, il montante contributivo si sarebbe potuto rivalutare per un coefficiente inferiore a 1.

Come se non bastasse, l'altra beffa è rappresentata dai coefficienti di trasformazione: sono parametri che variano a seconda dell'età di chi va in pensione. Il principio è che più tardi si andrà in pensione, maggiore sarà l'importo del trattamento che potrà essere ottenuto perchè minore sarà la durata della vita (potenziale) del beneficiario. Secondo l'ultimo aggiornamento del decreto 1° giugno 2020, la forbice dei coefficienti che oscillava da 4,20% (pensione a 57 anni) a 6,513% (pensione con 71 anni), dal prossimo anno si abbasserà tra 4,186% e 6,466%. Tra rivalutazione e mini-tagli, il reddito subirà un calo di centinaia di euro.

Gli errori dell'Inps

Non dimentichiamoci che l'Inps, spesso e volentieri, ha commesso macroscopici errori sulle lettere inviate ai pensionati: circa 100 mila assegni sbagliati a gennaio con una decurtazione della cifra totale del rateo, come abbiamo documentato poco tempo fa. Oppure, nel caso opposto, pensioni "gonfiate" che hanno creato caos in chi le ha ricevute ritrovandosi, dopo alcuni mesi, con un debito che non gli appartiene. I casi più eclatanti dicono che l'Inps abbia dovuto ricorrere a chiedere la restituzione di somme pari anche di 10mila euro.

Il pensionato, qualora il reddito abbia subito una variazione nel suo importo, ha l’onere di comunicare la variazione con una comunicazione scritta sia all’Inps che all’Agenzia delle Entrate. Se omette tale comunicazione, l’Ente previdenziale, una volta accortosi dell’aumento del reddito, è legittimato a richiedere la restituzione di importi di pensione già corrisposti entro l’anno precedente alla richiesta. E su questo fronte l'avvocato Celeste Collovati di Dirittissimo (tuttopensioni@gmail.com) accende un faro sulla reversibilità: "È eclatante il caso, non infrequente, in cui l’Inps richieda indietro importi pensionistici anche nell’ipotesi di aumento del reddito personale di un pensionato dovuto al fatto che da un anno con l’altro è venuto a mancare il proprio consorte e si percepisce, di diritto, la pensione di reversibilità. Proprio in questo caso appare singolare che l’Inps richieda al pensionato di rispettare l’onere di informativa dell’aumento del reddito dovuto alla pensione di reversibilità che come è chiaro viene erogata dall’Inps stesso! L’inps dovrebbe certamente detenere il casellario pensionistico di tutti i pensionati ed essere già a conoscenza dell’erogazione della pensione di reversibilità che si va ad aggiungere a quella personale o al proprio reddito.

Riteniamo che proprio in tali casi sia ancora più legittimo atrraverso un ricorso in via amministrativa opporsi e chiedere l’annullamento della richiesta di restituzione di quanto già erogato dall’Ente previdenziale".

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