Sofia Fraschini
Il petrolio è tornato in area 50 dollari al barile. È vera ripresa? O l'ennesima illusione per investitori e società del settore che da mesi sperano in un recupero dei corsi dell'oro nero? Il mercato crede nella svolta. In particolare chi, più di ogni altro, «gioca d'azzardo» come gli hedge fund. I fondi di investimento speculativo hanno, infatti, aumentato la loro posizione rialzista: gli investimenti a lungo termine sui titoli basati sul petrolio sono aumentati, mentre le posizioni corte sono diminuite.
Gli hedge fund però non sono soli. Anche analisti e gestori sono convinti che la situazione migliorerà notevolmente nella seconda metà del 2017 dopo che, nei primi sei mesi dell'anno, il petrolio ha registrato i suoi minimi in giugno con il Brent in area 44 dollari e il Wti in area 42 dollari. Sarà tutto merito delle recenti decisioni dell'Opec che ha promesso di limitare la produzione che coinvolgendo anche Paesi storicamente esclusi come la Nigeria? Non solo. Le ultime notizie circa i tagli alla spesa sulle esplorazioni e i rinnovati segnali di rallentamento nell'attività di produzione statunitense stanno giocando un ruolo importante nell'attuale rally del prezzo.
Ma a determinare i rialzi maggiori sono stati gli inaspettati dati sulle scorte pubblicati dall'Api. La rilevazione dell'American Petroleum Institute ha sorpreso il mercato, che si aspettava una flessione delle giacenze di 3 milioni di barili: il risultato, invece, è stato un crollo di 10,2 milioni.
È dunque rally per il settore? «Avrebbe potuto esserlo, ma nel 2017 non si andrà oltre i 55 dollari», spiega un analista ricordando che «ogni volta che il prezzo del petrolio raggiunge questo livello i produttori di shale statunitense tornano a considerare conveniente l'idea di aumentare l'output. Non solo. La blanda azione dell'Arabia Saudita e della Nigeria in sede Opec, e le previsioni poco ottimiste dell'Iea saranno elementi che nel corso dei prossimi mesi continueranno a mettere sotto pressione il prezzo del petrolio. Sarà dunque mini rally e con il freno a mano tirato». Ne è convinta anche l'Iea (International energy agency), l'associazione che raggruppa i Paesi consumatori di petrolio. Secondo i dati contenuti nell'ultimo report mensile, nel 2017 le richieste cresceranno di 1,5 milioni di barili giornalieri, contro gli 1,4 milioni stimati un mese fa. Anche l'Opec ha rivisto al rialzo le sue previsioni riguardo la domanda di petrolio globale, dichiarando che crescerà di 1,37 milioni di barili al giorno quest'anno e di 1,28 milioni di barili al giorno nel 2018 rispetto ai livelli di quest'anno. Intanto, a luglio, la produzione petrolifera dei Paesi Opec è aumentata dello 0,5%, portando il totale a 32,87 milioni di barili al giorno, in aumento di 172.600 barili rispetto a giugno. In questo contesto a restare con il fiato sospeso in Piazza Affari sono ancora una volta i titoli energetici: Eni, Saipem, Tenaris dipendono dai corsi dell'oro nero. In particolare Tenaris, ma anche Saipem. Entrambe società che offrono servizi oil alle grandi major e che con la crisi petrolifera hanno visto ridursi gradualmente le proprie commesse a causa del taglio drastico agli investimenti.
Diversa la situazione per Eni che nel tempo è corsa ai ripari grazie al taglio dei costi, alla rifocalizzazione del business e a una nuova strategia basata sull'esplorazione che permette al gruppo di crescere mantenendo il valore del break even finanziario sotto i 45 dollari «per resistere ha spiegato l'ad Claudio Descalzi - ed essere in grado di pagare i
nostri dividendi anche a valori molto bassi del petrolio». Diversa, invece, la situazione di Saras. Come società esposta al settore della raffinazione è più stabili e con la materia prima a sconto vede aumentare i margini.
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