Se nei cinque anni tra settembre 2011 e settembre 2016 il credito concesso alle imprese del nostro artigianato si è contratto di quasi il 25 per cento (fonte: Confartigianato) vuol dire che un settore strategico dell'economia reale italiana è stato lasciato da solo nel tentativo di sopravvivere al lunghissimo inverno della Grande Crisi. Chi mi conosce sa bene quanto di norma non sia tenero nei confronti delle banche: sedi faraoniche; filiali sempre più vuote e sovrapposte che hanno mortificato le fusioni; personale in esubero e un tempo super pagato; qualche istituto in rovina acquistato su pressione della Banca d'Italia e via di questo passo. Tuttavia, in questo caso, non me la sento di puntare l'indice sugli istituti di credito: sono imprese per quanto sui generis e non enti di beneficenza. L
a zavorra degli Npl, vale a dire i crediti concessi e non riscossi, ha determinato la pratica della prudenza verso le imprese artigiane. Tale cambio di indirizzo non ha riguardato l'interessata strategia dell'attenzione nei riguardi delle cosiddette grandi imprese nostrane! Il punto vero è un altro: governo ed economisti a vario titolo sono convinti che la ripresa non passa dal sostegno alle piccole imprese, tanto più quelle a vocazione artigiana. Le ritengono residuali, reperti del passato. Si tratta di un pensiero irrealistico perché non tiene conto delle caratteristiche della nostra realtà imprenditoriale. Se affondano «le piccole» crolla il Sistema Paese.
Per risalire la china occorre un piano industriale che abbia nel cono di luce il fiore all'occhiello della nostra industria.
Abbiamo bisogno come il pane di decisori illuminati, che agiscano in totale sintonia con la voce dei territori, per lavorare con giudizio a leggi certe, semplici (finalmente sburocratizzate!) allo scopo di favorire il nuovo rinascimento delle piccole imprese italiane.www.pompeolocatelli.it
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