Un piano molto industriale e poco finanziario. In più, la sua presentazione, avvenuta martedì (dalle 8.30 a quasi le 20, conferenza stampa inclusa) ad Auburn Hills, è coincisa con una prima trimestrale, per nulla entusiasmante, di Fiat Chrysler Automobiles: risultato netto negativo per 319 milioni. Per queste e altre ragioni ieri il mercato ha risposto male alle strategie al 2018 del nuovo gruppo illustrate da Sergio Marchionne. Per Fiat la giornata a Piazza Affari, conclusasi con un bagno di sangue (-11,7%, a 7,48 euro), è stata un susseguirsi di dati negativi sul titolo. In termini di capitalizzazione, sono stati «bruciati» 1,24 miliardi, dopo scambi boom, pari al 7,4% del capitale. E la Consob ha deciso di vietare temporaneamente le vendite allo scoperto sulle azioni torinesi, «tenuto conto della variazione di prezzo registrata dal titolo oltre la soglia del 10%». Il provvedimento sarà in vigore nella seduta borsistica odierna.
Per quanto riguarda il piano, i dubbi degli analisti si sono concentrati sulle modalità con cui Fca intende finanziare gli investimenti previsti entro il 2018 (55 miliardi) per il lancio di nuovi modelli e il rafforzamento dei marchi, in particolare Alfa Romeo (5 miliardi). L'attesa, inoltre, era che Marchionne annunciasse operazioni straordinarie come lo scorporo di Alfa Romeo (l'ipotesi resta valida, ma verrebbe affrontata solo dopo la riorganizzazione del marchio), una joint-venture con altri gruppi, la quotazione o vendita di asset, come Ferrari, un aumento di capitale o il lancio di un convertendo (anche in questo caso i tempi non sarebbero ancora maturi). Marchionne e i suoi manager, invece, si sono limitati a enunciare target di vendite e strategie industriali, senza ben specificare i finanziamenti. Nel corso della presentazione del piano è comunque stata esclusa, di nuovo, l'eventualità di un aumento di capitale, mentre non è stato rilasciato alcun commento su una possibile emissione di bond da convertire in azioni. In platea, nel quartier generale Usa del gruppo, tra i 300 invitati, con i giornalisti e gli analisti, c'erano anche molti banchieri, i primi ad attendersi (inutilmente) qualche prospettiva positiva e soprattutto ravvicinata per i business delle rispettive società.
A leggere bene i commenti di alcuni analisti sembra di tornare al 4 novembre 2009, quando ci fu chi si espresse negativamente sul piano industriale allora presentato da Chrysler, data ormai per morta nonostante le dichiarazioni ottimistiche di Marchionne. Ogni piano, da quando viene illustrato, fino alla sua conclusione, può essere però oggetto di cambiamenti, ritocchi o colpi di scena. E nessuno, in quel 4 novembre del 2009, aveva forse tenuto conto della possibilità che Marchionne restituisse con largo anticipo i prestiti ottenuti per conquistare la casa automobilistica di Auburn Hills dal Tesoro americano e a quello canadese, ma anche che riuscisse nel 2013 a evitare una pericolosa doppia quotazione (quella di Fiat in Italia e una parte del 41,5% di Chrysler in mano al fondo pensionistico Veba, a New York) con tutta la confusione che avrebbe generato.
Ma Marchionne, ora, non ha più alibi: dovrà portare a termine il piano 2014-2018 e mantenere tutte le promesse, soprattutto sull'Alfa Romeo e la saturazione degli stabilimenti. E il ridimensionamento del debito netto industriale, a meno di un miliardo nel 2018, dipenderà soprattutto dalla riuscita della strategia premium che dovrà mettere Alfa e Maserati agli stessi livelli dei forti concorrenti tedeschi, assicurando così molti più margini al gruppo.
«È un progetto coraggioso e di rottura», hanno scritto l'ad Marchionne e il presidente John Elkann a tutti i dipendenti di Fiat Chrysler Automobiles.
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