Senza aumento di capitale la Popolare di Vicenza vale zero. È solo una suggestione, sia chiaro, che però ieri circolava nelle sale operative dopo aver letto il comunicato diffuso in mattinata dall'istituto veneto: «Nel corso delle attività di pre-marketing e di investor education sono emerse indicazioni di interesse non sufficienti a consentire la determinazione di uno specifico intervallo di valorizzazione indicativa secondo la normale prassi di mercato», riporta la nota scritta al termine del cda di lunedì notte sul prezzo dell'Ipo e del contestuale aumento di capitale.
L'aumento di capitale avverrà quindi ad un prezzo compreso tra 0,1 e 3 euro per azione. Una forchetta amplissima che ha il solo fine di «consentire la raccolta delle manifestazioni di interesse da parte degli investitori istituzionali» nell'ambito del progetto di quotazione in Borsa dell'istituto. L'intervallo individuato corrisponde a una valorizzazione del capitale post-aumento tra un minimo (peraltro non vincolante) di circa 1,5 e un massimo di circa 1,8 miliardi. Insomma, la popolare vicentina rischia di capitalizzare in Piazza Affari meno dell'aumento (1,75 miliardi) che deve varare. Quindi, considerando che tale aumento non è ancora partito, il valore oggi oscilla tra -250 e +50 milioni. Non solo. In base ad altri calcoli teorici basati sul confronto fra il patrimonio netto dell'istituto pre e post ricapitalizzazione con la valorizzazione delle altre popolari già quotate, la «linea Maginot» per i soci della Vicenza - ovvero il livello che consentirà a chi investe di pareggiare - sarà attorno ai 40 centesimi: quando il titolo viaggia sotto si perde, quando naviga sopra invece si vince.
Secondo i broker più pessimisti, indipendentemente dal range di prezzo sarà difficilissimo quotare la banca perché il mercato pare non avere alcuna intenzione di sottoscrivere l'Ipo. «Nella migliore delle ipotesi se la comprerà tutta Atlante», ha commentato un trader all'agenzia Reuters. «Allo stessa valutazione puoi comprare banche migliori come la stessa UniCredit, quindi perché gli investitori dovrebbero comprare la Vicenza?», si chiede un altro esperto.
La partita vicentina, nonostante il paracadute aperto dal fondo Atlante pronto a subentrare a Unicredit (garante unico dell'aumento di capitale), si fa sempre più complicata: è slittato anche il nulla osta della Consob alla pubblicazione del prospetto informativo della quotazione, atteso per ieri. L'iter autorizzativo sarebbe stato infatti rallentato da una serie di richieste d'integrazione al prospetto avanzate dalla Commissione. E che la tensione stia salendo lo dimostra anche l'improvvisa impennata al ribasso dei titoli bancari partita sul finale di seduta ieri pomeriggio: Intesa Sanpaolo ha ceduto l'1,63%, Mediobanca l'1,5%, Ubi il 2,8 per cento. Peggio hanno fatto Bpm (-2,07%), Banco Popolare (-2,74%), Bper (-3,34%) e, fuori dal Ftse Mib, anche Carige che ha lasciato sul terreno il 3,94 per cento.
Non sono ancora in Borsa ma soffrono già i piccoli azionisti della Vicenza: i loro titoli nel 2014 valevano 62,5 euro per poi essere svalutati a 48 un anno dopo e a 6,3 nei mesi scorsi quando è stato fissato il prezzo del recesso.
Diritto per altro esercitato solo dallo 0,27% del capitale sociale per un controvalore da liquidare pari a circa 1,7 milioni.Un falò miliardario di soldi investiti dai soci-clienti nell'arco di un ventennio della gestione Zonin.
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