Economia

Quando i niet sindacali frenano solo il lavoro

La disoccupazione è salita al 9,2% ma tra i giovani è al 31%. Per batterla servono flessibilità e produttività. Per gli "under 35" a spasso c'è un futuro nell'agricoltura

Quando i niet sindacali frenano solo il lavoro

La disoccupazione in Italia è in aumento. In gennaio, secondo i dati Istat, è giunta al 9,2%, seguen­do una tendenza generale al peg­gioramento, comune a tutta l’Eu­ropa a 27. In particolare,l’Eurozo­na soffre per la crisi dell’euro, ora di molto attenuata, ma soprattut­to per le nuove imposte e i tagli di spesa dei bilanci pubblici, rivolti a contenere i deficit e quindi i livelli di indebitamento sul pil, che gene­rano una riduzione di domanda, non controbilanciata da politiche attive rivolte a stimolare l’offerta. Nell’Europa a 27, ormai, la disoc­cupazione sfiora il 10%, essendo giunta in gennaio al 9,9.Nell’Euro­zona essa lo ha superato, essendo arrivata al 10,4 per cento.

Una par­te dei nuovi disoccupati consiste nei lavoratori per i quali è spirata la cassa integrazione straordina­ria. Per l’Italia, però, Eurostat,che usa un sistema di calcolo diverso da Istat, stima la disoccupazione all’8,9%. Rispetto al gennaio dello scorso anno, l’aumento è di 0,4 punti percentuali sia per l’Eurozo­na sia per l’Europa a 27. Per l’Italia il rialzo, con i dati Istat, è di 1 punto percentuale, un po’ meno con Eurostat. Va però detto che, nel frattempo, da noi è aumentata la popolazione attiva, e quindi in realtà l’occupazione non è diminuita, ma aumentata passando da 22,900 a 22,940 milio­ni. Preoccupa molto la disoccupa­zione giovanile, delle persone cioè tra 15 e 24 anni, arrivata al 31%, uno 0,1 in più rispetto a di­cembre. E che, dunque, è oltre tre volte la media nazionale.

Anche se bisogna fare la tara su tale cifra, in quanto molti giovani lavorano senza contributi nelle ditte e negli uffici di parenti e amici, in base al principio che la pensione se la fa­ranno in seguito, comunque la percentuale di giovani disoccupa­ti italiani è una chiara anomalia nei confronti internazionali. Indi­ca la necessità di una riforma del mercato del lavoro, indirizzata al­la flessibilità e alla produttività, che aiuti sia i giovani a inserirsi nel mercato del lavoro, sia i meno gio­va­ni che hanno perso il posto a ot­tenerne uno e che, in genere, ac­crescendo la competitività e l'effi­cienza dell’economia generi più reddito e più export, e quindi più posti di lavoro. In Germania, i giovani disoccu­pati sono il 7,8%, con una disoccu­pazione media del 5,5 per cento, so­lo 2,6 punti oltre la media, pari al 40% in più rispetto a essa; non tre volte tanto come in Italia. Sino a po­chi anni fa la disoccupazione in Germania era il grande problema (era attorno al 9%) poi, con la rifor­ma del mercato del lavoro, la mac­china economica tedesca è cam­biata. La riforma del mercato del la­voro in Italia, invece, dopo la rifor­ma Biagi, attuata dal centro-de­stra, continua a essere bloccata, no­nostante le iniziative assunte dal­l’ex ministro Maurizio Sacconi con le sue politiche miranti ai contratti di produttività e con l’articolo 8 del decreto di agosto, che consentiva di superare attraverso la contratta­zione aziendale gli ostacoli alle as­sunzioni e all’efficienza aziendale frapposti dall’articolo 18 dello Sta­tuto dei lavoratori, nella rigida in­terpretazione data dalle sentenze dei giudici del lavoro, avvalorate dalle Corti d’appello e dalla Cassa­zione. L’ad di Fiat, Sergio Mar­chionne, ha varato contratti azien­dali innovativ , che sono stati bloc­cati dal no dell’ex capo della Cgil, Guglielmo Epifani, e poi dal nuovo segretario, Susanna Camusso, con rigidità ancora maggiore.

La Confindustria di Emma Mar­cegaglia ha detto «ni» e Fiat è stata costretta a uscire da Confindu­stria. Sacconi ha varato norme che permettevano di superare le rigidi­tà dell’articolo 18 stabilendo nei nuovi contratti la possibilità di ri­correre ad arbitrati volontari anzi­ché ai tribunali. Nuovo no della Cgil e caduta della norma. Poi l’ex ministro ha varato l’articolo 8 a so­stegno dei contratti aziendali con la possibilità di interpretazioni li­beralizzatrici dell’articolo 18. E an­cora no della Cgil, seguito dai «ni» di altri sindacati e Marcegaglia. Ca­musso e la Fiom ora dicono un al­tro no alla riforma dell’articolo 18 che hanno in progetto il ministro Elsa Fornero e il premier Mario Monti. Da anni, poi, la Cgil spalleg­gia i «no Tav» della Valle di Susa che ne hanno bloccato i lavori, che creerebbero un’ingente occupa­zione diretta e indotta.

Senza le ri­forme liberali del mercato del lavo­ro la disoccupazione aumenta e si accresce quella giovanile, mentre l’economia ristagna o va in reces­sione.

Sono questi no che genera­no, con la loro falsa socialità, il più grande problema sociale del no­stro Paese.

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