Le province italiane sono state ufficialmente abolite nel 2014. Ma non ne vogliono sapere di togliere definitivamente il disturbo. Resistono, e continuano a fare debiti a volontà, nel totale disinteresse. E le già esauste finanze pubbliche devono intervenire. E così, dissesto chiama dissesto. Dal Centro agli Enti Locali è la solita musica. Con la benedizione della politica. Che, grazie ad un puntuale emendamento del parlamentare di turno, ha fatto confluire denari pubblici alle province oltre che ai comuni. La chiamano boccata d'ossigeno. Ma non è assurdo foraggiare realtà inutili oltre che dannose? Tanto più che le province dovevano sparire dalla circolazione senza rimpianti da parte dei contribuenti. La fotografia è disarmante.
La Cisl ha reso noto che sono circa quaranta le province al limite del crac. Significa che mai si sono riorganizzate per darsi un minimo di credibilità. Da Roma sono arrivati meno soldi? Fa niente. Avanti con sprechi e sforamenti tanto la politica provvederà. In un modo o nell'altro. Avviene così da sempre. Non dobbiamo stupirci; gli enti periferici non fanno altro che adottare gli stessi criteri che regolano la gestione (meglio dire: la malagestione!) dei soldi pubblici a Roma. Altro che spending review. C'è un buco da qualche parte? Nessun problema: lo si rattoppa. Con gli euro di tutti noi. Questo è il modus operandi dell'azienda Stato. Si succhia ai cittadini per tenere aperti i rubinetti del soccorso. Una pratica che affossa tutto. Che produce debiti su debiti. Cioè: conti in perenne disordine, bilanci che non tornano mai. E che l'azienda Stato si guarda bene dal produrre. In barba alla trasparenza, questa sconosciuta.
Fin
tanto che non prevarrà la mentalità privata non vedo spiragli. Fosse per me darei un taglio anche alle Regioni. La ristrutturazione dello Stato deve prevedere decisioni choc. Meno Stato più privato.www.pompeolocatelli.it
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