Il risparmio tradito dalle matricole di Borsa

Dal 2000 sono oltre 150mila i risparmiatori che hanno perso quello che avevano investito nelle "Ipo" italiane

Una vista dal'alto del palazzo della Borsa in piazza Affari
Una vista dal'alto del palazzo della Borsa in piazza Affari

Achtung Ipo. Il via libera alla quotazione di Moleskine e il trend positivo del listino fanno ben sperare Palazzo Mezzanotte dove, dopo cinque anni di carestia, si torna a parlare di quotazioni in arrivo. Sono tante le società in rampa di lancio, da anni in cerca di nuovi investitori e, almeno in teoria, di mezzi freschi per crescere. L'esperienza del passato tuttavia dovrebbe far riflettere gli investitori prima di farsi cogliere dai facili entusiasmi derivanti dagli ultimi debutti di indubbio successo, tra cui Brunello Cucinelli, Salvatore Ferragamo e Yoox.
Non sempre è stato così: Piazza Affari, dall'inizio del Millennio, ha bruciato all'incirca 3,5 miliardi di euro in Ipo «maledette», ovvero società approdate in Borsa con tante aspirazioni e poi rapidamente collassate. E con il cerino in mano spesso sono rimasti gli investitori retail. Il cui prezioso risparmio è stato malamente tradito.
Nell'insieme i numeri sono relativamente modesti rispetto ai grandi crac (Cirio e Parmalat hanno fatto danni per 16 miliardi di euro), ma con un impatto talvolta devastante per le tasche dei risparmiatori coinvolti. «Spesso il privato pensa di aver scoperto una perla nascosta tra le piccole e medie imprese e su queste è pronto a scommettere anche risorse ingenti» spiega Domenico Bacci, segretario nazionale del Siti (il sindacato italiano tutela investimenti) che poi sottolinea come in molti casi di Ipo seguite a default vi siano state condotte illecite. Eclatante il caso Freedomland (la società fondata da Virgilio De Giovanni, passata attraverso vari tentativi di salvataggio e di ristrutturazione prima di chiudere come Eutelia) dove si è registrata la condanna (in primo grado) in solido del fondatore, di Consob, di Banca Leonardo e di Deloitte a risarcire i 1.700 azionisti rappresentati dal Siti per falso in prospetto informativo.
Si trattava di un collocamento in Borsa Ipo con una capitalizzazione di oltre 1,5 miliardi e 36,4 mila assegnatari tra il pubblico. Le recenti normative, in particolare la Mifid, e la maggior consapevolezza dell'investitore dovrebbero tuttavia evitare il ripetersi di simili casi. Ma la prudenza è sempre d'obbligo.
Il ricordo del brusco risveglio del mercato dopo la luna di miele vissuta tra Borsa e investitori a cavallo del Millennio, l'epoca d'oro delle Ipo (acronimo per «initial public offering») aiuta a non farsi travolgere dai sogni altrui. Il primo choc è arrivato dalle mancate promesse del Nuovo Mercato. Al primo default, quello di Opengate, sono seguiti Finmatica, Algol, Cto, Gandalf, Tc Sistema e Tecnodiffusione. Tra le Ipo dell'epoca d'oro non hanno resistito neppure Giacomelli, I Viaggi del Ventaglio e Mariella Burani. Successivamente, anche qui nel breve giro di pochi anni, è fallita Monti Ascensori e sono finite amministrazione straordinaria Aicon ed Rdb, mentre Cogeme è invece in liquidazione e concordato preventivo.
Storie e casi diversi chiaro, ma che dovrebbero in teoria far riflettere l'investitore retail prima di fare shopping in sede di nuovi collocamenti.

È lecito farsi domande sul motivo per cui una società va sul mercato (un aumento di capitale per reperire risorse per crescere è diverso dal trovare mezzi freschi per ripianare i debiti pregressi e anche dai casi in cui gli azionisti scelgono la Borsa come via di uscita), sulle diverse prospettive dei settori di riferimento e sui multipli a cui l'operazione avviene oltre che sulla loro attualità (ad esempio se abbia o meno senso un valutazione sul numero degli utenti).
Tutto questo non salva da possibili delusioni, ma quanto meno potrebbe mettere al riparo da rischi eccessivamente azzardati.

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