Saipem, secondo tracollo in 5 mesi

Saipem, secondo tracollo in 5 mesi

Un dejà vu, palesemente indigesto ai mercati. Il secondo profit warning sui conti lanciato nel giro di appena quattro mesi e mezzo, ha fatto collassare ieri Saipem di quasi il 30% a Piazza Affari, mentre la Consob mantiene accesi i riflettori sul gruppo d'esplorazione petrolifera controllato per il 43% da Eni (-2,14%). Il motivo? Accertare eventuali irregolarità commesse a ridosso del primo allarme sui conti, comunicato lo scorso 29 gennaio. Allora, il fuggi-fuggi generale aveva lasciato solo cocci: -34,3% il titolo, con 4,5 miliardi di euro di capitalizzazione evaporati e quotazione schiacciata a 20 euro. Un tracollo da cui si era salvato il fondo Usa Blackrock, che alla vigilia della débâcle aveva dato l'ordine a Bofa Merrill Lynch di cedere le azioni Saipem in portafoglio al prezzo di 31 euro. Insomma: la Commissione guidata da Giuseppe Vegas sospetta che qualcuno sapesse in anticipo dell'alert sui risultati.
Ieri si è dunque ripetuto il copione di gennaio: scambi frenetici sul titolo, col 6% passato di mano, e 2,6 miliardi di ricchezza bruciati. Ora le perdite da inizio anno superano il 50%. Un fiume in piena da panic selling, quello di ieri, che la Consob non è riuscita ad arginare nonostante il divieto posto anche sulle vendite allo scoperto assistite dalla disponibilità dei titoli. Lo stop (valido anche oggi) non è giunto subito a causa dei tempi tecnici da rispettare: è infatti necessaria il via libera da parte dell'Esma, l'Autorità Ue della Borsa, che a sua volta deve sentire il parere degli altri 26 organismi di vigilanza comunitari. Resta il fatto che il nuovo caveat sui conti ha avuto l'effetto di una valanga, visto che racconta una cosa semplice quanto brutale: Saipem va male e continua ad accumulare perdite. Ora la società colloca il rosso 2013 fra i 300 e i 350 milioni, mentre l'Ebit è stato rivisto al ribasso di 650-750 milioni, aspettandosi quindi un margine operativo tra zero e 100 milioni dai precedenti 750. L'Algeria, uno dei principali Paesi in cui la società è attiva ma anche la centrale di episodi di corruzione costati il posto all'ad Pietro Franco Tali, resta una spina dolorosa nel fianco. Al punto da impattare sui risultati per 350 milioni. Il lavoro del nuovo ad Umberto Vergine è poi complicato dai problemi su due contratti in Messico e Canada (260 milioni), che hanno tagliato la redditività di 260 milioni.
Un quadro che non può non preoccupare l'Eni. Paolo Scaroni, numero uno del Cane a sei zampe, ha provato a rassicurare gli investitori, ricordando che «gli effetti sui nostri conti sono relativamente modesti perchè Saipem rappresenta il 6% dei nostri attivi». Ma gli analisti si interrogano sulle prossime mosse del gruppo: Akros ipotizza «soluzioni drastiche per Saipem», mentre Equita non esclude la possibilità di un aumento di capitale. Scaroni ha però detto che il profit warning «più che anticipare, posticipa la riflessione» sulla dismissione della quota Eni.

Fioccano, intanto, i downgrade: se Morgan Stanley colloca ora il target price a 20 euro (27,5 in precedenza), Credit Suisse lo ha tagliato da 22 a 16 euro ed Exane ha rivisto la raccomandazione da «neutral» a «underperform».

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