Salvatore Ligresti condannato a sei anni

Stefano Zurlo

La stessa vicenda. Ma con tre finali diversi. Prima il patteggiamento per Giulia, provata dall'anoressia, poi l'assoluzione per il fratello Paolo, ora le condanne, durissime, per Salvatore Ligresti e l'altra figlia Jonella. La storia è sempre quella che ha provocato nel 2013 il big bang della famiglia e gli arresti di una delle casate più note d'Italia: falso in bilancio e aggiotaggio informativo per Fonsai.

Un problema tecnico e ostico che in tribunale è stato interpretato in modo diverso, di più con sentenze che fanno a pugni l'una con l'altra. Si tratta di una presunta sottovalutazione della riserva sinistri della compagnia assicuratrice: le cifre messe a bilancio, e frutto di calcoli complicatissimi, sarebbero false. E di conseguenza il comunicato informativo, scritto a suo tempo, avrebbe colpevolmente taciuto su questo punto spinoso. Attenzione: non ci sarebbero bancarotte o distrazioni di fondi, ma solo un danno per gli azionisti, peraltro ancora tutto da quantificare, ma valutato in decine di milioni di euro. La storia però si presta a diverse letture. Per Milano, dove erano arrivate in un curioso rimpallo di competenze alcune posizioni, non c'era alcun reato e Paolo era stato assolto su tutta la linea su richiesta della stessa procura. Torino, che ha tenuto gran parte degli imputati, la pensa evidentemente in modo diverso e ora ecco le pene: 6 anni per il patriarca, più una multa di 1,2 milioni; 5 anni e 8 mesi per Jonella, accompagnati da una sanzione di 1 milione. «È sconcertante - spiega Gianluigi Tizzoni, difensore di Ligresti padre - che quel che Milano non considera illecito venga punito con tanta severità a Torino. E che il tribunale di Torino sia arrivato a questa conclusione senza ricorrere ad una perizia ma basandosi esclusivamente sui propri consulenti.

I nostri esperti erano giunti a conclusioni opposte, mai avevo registrato una tale diversità di vedute». Neppure a Garlasco, dove Tizzoni era l'avvocato di parte civile ed era riuscito, dopo una doppia assoluzione di Alberto Stasi in primo e secondo grado, a far riaprire il caso fino alla condanna dell'imputato.

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