La sfida al Monte dei Paschi: inizia la presidenza Profumo

Fondazione Mps sceglie il banchiere genovese. Ma Mancini dice no. Il 27 aprile l’assemblea, ora la sfida del piano industriale e lo scoglio dell’Eba

La sfida al Monte dei Paschi: inizia la presidenza Profumo

Alessandro Profumo sarà dal 27 aprile il nuovo presidente del Monte dei Paschi di Siena. Al ter­mine della maratona notturna la Fondazione Mps ha trovato la qua­dra sui sei nomi di competenza da proporre per il nuovo cda. Sarà rin­novamento totale: a parte Profu­mo e l’ad in pectore Fabrizio Viola l’ente proporrà quattro new en­try: Marco Turchi (già nel collegio sindacale) e tre docenti Paola De­martini di Roma Tre e i senesi Ta­nia Groppi e Angelo Dringoli. Que­st’ultimo è stato nel cda di Banca Toscana (poi fusa nel Monte).

La scelta della discontinuità se­gna la vittoria del sindaco di Sie­na, Franco Ceccuzzi. Non è stato ancora deciso chi sarà il candida­to alla vicepresidenza in quota Fondazione. Ma la vera notizia ­più che i giochi di potere della poli­tica - è il «gran rifiuto» del presi­dente della Fondazione Gabriello Mancini che ha abbandonato la riunione in polemica con la desi­gnazione di Profumo, contro il quale fino all’ultimo ha cercato di proporre candidature alternative (rumor senesi indicavano Divo Gronchi e Carlo Salvatori).

E così Alessandro Profumo rit­or­na in pista a un anno e mezzo dalle sue polemiche dimissioni da am­ministratore delegato di Unicre­dit. Descrivere il banchiere (an­che se il diretto interessato si è sempre autodefinito un «banca­rio ») non è impresa facile. Perché si tratta di un profilo atipico rispet­to al cli­ché del capitalismo di rela­zione all’italiana. Alle trame delle corti finanziarie,Profumo ha sem­pre­preferito l’autonomia e il deci­sionismo. Tanto da guadagnarsi l’appellativo (da lui detestatissi­mo) di «arrogance», per i modi sbrigativi. Il suo curriculum, infat­ti, parla per lui. Genovese, classe 1957, entra ventenne al Banco La­riano da impiegato con uno sti­pendio da 371mila lire. Dopo la laurea in Bocconi, le esperienze in McKinsey e in Bain, si sposta nel 1991 come direttore centrale in Ras che, azionista di maggioran­za del vecchio Credit, lo introduce nel 1994 a Piazza Cordusio come condirettore generale. Il presiden­te Lucio Rondelli lo promuove a tempo di record e nel 1997 è già ad, carica che manterrà per tredi­ci anni. È proprio l’esperienza di Unicredit a forgiarne l’ allure di manager attento ai fondamentali più che alle convenienze. Nel 1998 «affondò» il progetto Cuccia-Maranghi della Superbin (Credit-Comit-BancaRoma) per dare il là alla creazione di Unicredit con Crt e Cariverona. Una politica di espansione che con Hvb nel 2005 e Capitalia nel 2007 (in tandem con Cesare Geronzi) gli guadagne­rà gli epiteti di Alessandro «il Gran­de »».Una banca che nel 2008 capi­talizzava 50 miliardi e aveva un Roe del 14%. Poi il vento avverso della crisi, i due aumenti di capita­le per sostenere la crescita, l’in­ciampo sui «Brontos» (a maggio l’udienza preliminare a Milano) e la crescita del socio libico gli han­no alienato il consenso delle Fon­dazioni e del presidente Dieter Rampl. E di quei salotti buoni che non gli hanno mai perdonato le simpatie per il Pd (più volte indica­to come «Papa straniero») e le due uscite dal club di Rcs.

A Siena dovrà lavorare assieme all’ad Fabrizio Viola. Andrà con spirito da «civil servant», ha fatto filtrare.

La prima sfida sarà coordi­n­arsi con i nuovi soci che acquiste­ranno le quote della Fondazione, in pole c’è il Fondo Equinox di Sal­vatore Mancuso. E poi stilare un piano industriale per evitare l’au­mento di capitale richiesto dal­l’Eba.

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