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Stellantis si dà la scossa e prepara l'"hub" in Algeria

Via in Francia alla prima fabbrica di batterie con Total e Mercedes. In Africa per abbassare i costi di produzione

Stellantis si dà la scossa e prepara l'"hub" in Algeria

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Da una parte Carlos Tavares (nella foto), ad di Stellantis, avverte «che la produzione di auto elettriche a prezzi accessibili non sarà fattibile in Europa», dall'altra - costretto dai propositi Ue di transizione verso la mobilità elettrica - inaugura in pompa magna la prima delle tre gigafactory in Europa. Si parte dalla Francia, dove c'è la plancia di comando; quindi, nel '25, toccherà alla Germania (Kaiserlauten) e nel '26 all'Italia (Termoli: 1.800-2mila addetti). L'investimento totale è di 7,3 miliardi, di cui 1,3 denaro pubblico. La prima fabbrica di batterie si trova a Douvrin, nell'Hauts-de-France, ed è il frutto della joint venture Acc (Automotive cells company) fondata nel 2020. Con Stellantis, ne fanno parte Mercedes e TotalEnergies. L'impianto è inoltre sostenuto sia dall'Ue sia dai tre governi interessati.

La linea di produzione ha una capacità di oltre 13 GWh che salirà a 40 GWh entro il 2030; 2mila i posti con personale del luogo e qualificato. È stato subito precisato che i materiali che compongono le batterie Acc (cobalto, litio, rame e nichel) «arrivano da fornitori responsabili in termini di rispetto dell'ambiente e dei diritti umani». «Attualmente le batterie rappresentano circa il 40% del costo di un'auto elettrica e la maggior parte sono fatte in Asia - ha ricordato Yann Vincent, ad di Acc -: noi siamo la risposta a molte sfide, come il controllo della catena produttiva e il ritorno a una vera sovranità industriale».

«La dinamica - le parole di Tavares - consentirà ai veicoli elettrici di Stellantis di essere dotati di batterie ad alta tecnologia, al servizio di una mobilità pulita, sicura e conveniente per tutti. Saremmo felici di vendere batterie ad altri costruttori. Siamo aperti».

Presente in Francia anche John Elkann, presidente di Stellantis, insieme ai ministri Adolfo Urso, Bruno Le Maire e Volker Wissing, e agli ad di Mercedes (Ola Källenius) e TotalEnergies (Patrick Pouyanné).

Le gigafactory Acc sostituiscono, di fatto, siti preposti inizialmente alla produzione di motori endotermici, da sempre fiore all'occhiello a livello mondiale.

Dalle celebrazioni si passa così alle preoccupazioni per il futuro dell'industria europea automotive, impegnata a far fronte all'attacco dei costruttori cinesi con i loro modelli di qualità e più competitivi. Tavares, giorni fa, era stato chiaro: «Si rischia di perdere terreno, il che farebbe passare l'Europa da potenza tecnologica a meta turistica per cinesi e americani». Ecco allora Stellantis, ma anche gli altri big, guardare a mercati alternativi, dai costi inferiori, dove produrre e vendere auto elettriche a un prezzo accessibile, proteggendo la redditività. Insieme all'India, l'attenzione del gruppo guidato da Tavares, è puntata ora soprattutto sull'Algeria. In questo Paese, infatti, grazie ai bassi costi energetici e non solo, il marchio Fiat produrrà a Tafraoui alcuni modelli, tra cui la 500, per una capacità di 90mila veicoli in tre anni. L'Algeria, grazie al recente asse energetico con l'Italia, rappresenta infatti l'hub ideale per esportare i veicoli nel resto dell'Africa e nei Paesi arabi.

E qui si aprono opportunità di investimento anche per la componentistica. «Le aziende italiane che vantano eccellenze produttive legate al comparto dei motori endotermici - afferma Paolo Scudieri, presidente di Anfia (filiera italiana automotive) - in Algeria potranno continuare a spendere queste loro competenze, garantendosi così, allo stesso tempo, linfa per proseguire negli investimenti dedicati alle nuove tecnologie e sistemi di alimentazione». Dunque, per investire nell'elettrico in casa propria e nello sviluppo di nuovi software, il «sistema automotive» è costretto a traslocare dove le condizioni generali sono più favorevoli. Non è un bel segnale per l'Europa e lo è, invece, per i concorrenti cinesi. Quello di Stellantis, ma anche di Anfia, sembra essere un primo avvertimento concreto. E ricorda, per certi versi, la mossa che fece lo scomparso Sergio Marchionne, nel 2010, quando decise di scegliere la Serbia, investendo 1 miliardo, al posto di Mirafiori per produrre la Fiat 500L. Più di un segnale, in pratica, diretto soprattutto alla Fiom di Maurizio Landini, visti i rischi di ingovernabilità delle fabbriche e il risultato non plebiscitario del referendum a Pomigliano sui futuri piani aziendali.

«O mi lasciate lavorare o sposto le produzioni dove più conviene», la sintesi di quel Marchionne-pensiero.

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