Una rivoluzione industriale che restituisca all'Europa le sue imprese: è l'obiettivo strategico che viene presentato oggi a Bruxelles da Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione Ue e commissario per l'Industria. Perché i milioni di posti di lavoro persi, i mille miliardi di Pil bruciati e l'emorragia d'imprese in Italia e in Europa non sono solo colpa della crisi, che certo ha fatto da acceleratore, ma anche della progressiva perdita della base industriale, già in atto da tempo.
«La nostra industria non può continuare ad abbandonare l'Europa - spiega Tajani al Giornale-; le cifre in nostro possesso sono chiarissime: l'industria Ue può produrre crescita e occupazione. Oggi presentiamo le condizioni per un'industria sostenibile nel futuro dell'Europa, per uno sviluppo degli investimenti necessari nelle nuove tecnologie e per ripristinare un clima di fiducia e di spirito imprenditoriale. Lavorando insieme e ripristinando la fiducia, reinsedieremo l'industria in Europa». Si tratta di una vera rivoluzione culturale, che fa tabula rasa dell'idea, dominante fino a poco tempo fa, che la nostra economia potesse basarsi su finanza e servizi, lasciando ai Paesi emergenti il manifatturiero, quasi fosse un'anticaglia. In realtà, oltre l'80% dell'innovazione avviene nell'industria: e lo dimostrano i settori strategici dove l'Europa è leader mondiale, come quello automobilistico, aeronautico, ingegneristico, spaziale e farmaceutico. Senza contare che, per ogni posto nel manifatturiero - da cui dipende il 75% dell'export europeo- se ne crea un altro nei servizi.
Da qui, la necessità per l'Europa di un'inversione di marcia, che si pone come obiettivo chiave il recupero dei livelli d'investimenti e produzione pre-crisi entro il 2015: il punto d'arrivo è di avere nel 2020 almeno il 20% del Pil legato all'industria manifatturiera, tenendo conto che la media attuale è del 15,6 per cento.
A questo scopo, la Commissione punta su alcune azioni prioritarie tese a stimolare investimenti in nuove tecnologie, a migliorare l'accesso ai mercati e al credito, soprattutto per le Pmi, e a garantire competenze adeguate.
Non solo: è fondamentale anche ridurre il divario di competitività tra Stati membri e regioni dell'Unione europea. E qui la pagella dell'Italia non è esaltante: pur rimanendo il secondo Paese manifatturiero d'Europa, presenta alcuni indicatori molto penalizzanti per chi fa industria. Ad esempio, la produttività del lavoro, su una scala di 100, si ferma a 48 contro i 67 della Germania, l'innovazione è insufficiente, con solo 5 punti su 10, l'elettricità costa il doppio che in Francia e siamo ultimi per i tempi di pagamento degli enti pubblici: in totale, su 30 indicatori analizzati l'Italia supera la media solo per 7. Ma fra tutti, l'handicap considerato più grave dagli operatori economici è la pressione fiscale sulle imprese, 20 punti maggiore di quella tedesca e ben al di sopra della media europea.
Tajani: «Così l'Europa tornerà a essere leader dell'industria»
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