Nazionalizzazioni, tasse sui ricchi, giro di vite sulle imprese, difesa a tutti i costi del lavoro pubblico, spesa pubblica e assunzioni come unica ricetta per lo sviluppo. Compagni duri e puri di tutta l'Europa hanno elogiato il ritorno alle politiche della sinistra, quella vera; Fidel Castro che si congratula «calurosamente» per la brillante vittoria del governo greco al referendum. Persino a Massimo D'Alema è tornata la voglia di Syriza e in televisione si è lanciato in un'analisi della vicenda greca in stile Bertinotti, diventata virale in rete.
La ribalta referendaria di Alexis Tsipras e le trattative di questi giorni hanno ridato fiato a un modo che sembrava scomparso. Quello che considera i bilanci pubblici in rosso una necessità politica e poi, quando i conti non tornano, dà la colpa al leviatano liberista e all'ordine globale capitalista. Nel governo greco c'è veramente chi ancora usa termini di questo tipo.
«Abbiamo il programma del vecchio partito laburista, quello che avevano un tempo le socialdemocrazie», ha spiegato tempo fa l'attuale ministro delle Finanze di Atene, Euclid Tsakalotos. Nelle sue intenzioni era una frase rassicurante. Forse voleva dire che, per il momento, la sinistra greca rinuncia alla rivoluzione. Ma la macchina del tempo impazzita di Atene ha mandato in corto circuito l'area euro. Impossibile per i creditori accettare l'agenda di un governo con un imprinting marxista ; escluso che l'esecutivo della sinistra radicale possa accettare una ricetta bollata come neoliberista.
Il programma elettorale originario di Syriza (al netto della rinegoziazione del debito) aveva il marchio dei movimenti No global anni Novanta ai quali apparteneva l'attuale premier e anche quello dei partiti comunisti che sono entrati nel cartello elettorale. Salario minimo da alzare, nazionalizzazioni delle banche e delle imprese strategiche, eliminazione delle limitazioni agli stipendi pubblici introdotti dal precedente governo.
La ricetta per trovare le risorse è tutta sulle entrate: aumento delle tasse sui redditi (si ipotizzava una aliquota al 75% per i redditi più alti), aumento delle imposte sulle imprese, tassa sulle attività finanziarie e divieto per i derivati. Da tagliare solo la spesa militare.
Promesse elettorali? No, la proiezione di una visione del mondo. Anche la lettera mandata il 30 giugno ai creditori dal governo di Atene non si sposta molto dall'agenda elettorale del gennaio scorso. Concessioni solo sulle tasse (Iva esclusa), con l'incremento degli anticipi versati dalle imprese al 100%, eliminazione delle agevolazioni per gli agricoltori, riduzione del tetto alle spese militari. Riforma delle pensioni depotenziata e a regime in più di dieci anni. Rinvio per la riforma del mercato del lavoro che nelle intenzioni dei creditori dovrebbe puntare sulla flessibilità. Praticamente una manovra elettorale. Misure che colpiscono solo l'elettorato del centrodestra greco e salvano quello della sinistra che è, come in Italia, soprattutto da dipendenti pubblici.
Difficile che qualcosa cambi ora. Il nuovo ministro dell'Economia è moderato solo nei modi e i referenti di Tsipras restano gli stessi. Improbabile cambi strada un governo di un paese dove c'è un emergenza umanitaria, ma che sceglie come priorità la riapertura della televisione di Stato e la riassunzione di 1.700 impiegati.
Difficile che la svolta porti la firma di Tsipras, dopo che i due precedenti governi moderati, del
Pasok e di Nuova democrazia, hanno fatto crescere il numero dei dipendenti pubblici, dando luogo fino al 2008 a una crescita del Pil eccezionale e fasulla. La Grecia è un malato e Tsipras è il medico meno adatto a curarla.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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