Taxisti in sciopero selvaggio per le liberalizzazioni mancate

La scorsa settimana i taxisti di Milano hanno avuto la brillante idea di attuare uno sciopero selvaggio, cioè senza preavviso. Una rivolta contro un soggetto terzo, Uber, che ne minaccerebbe il monopolio del servizio. Chiamavi il radiotaxi e una voce registrata rispondeva: «Al momento i taxi non sono disponibili». La città ha così vissuto due giorni di assoluto disagio. In particolare, penso a parenti che dovevano andare in ospedale o utenti in aeroporto. Una figuraccia. Ma non è stata la prima e non sarà l'ultima. Per la semplice ragione che in questo Paese continua a prevalere una mentalità di casta, per cui certe categorie professionali ritengono legittimo l'esercizio del monopolio. Possono farlo perché godono di eccellenti protezioni politiche, trasversali agli schieramenti. Si tratta di forme di privilegio retaggi di quel sindacalismo prepotente e massimalista chiuso a qualsiasi novità. Il guaio è che il decisore pubblico non fa nulla per metterlo in discussione. Come non comprendere che il servizio migliora liberando i mercati da visioni ottuse? In Italia anche solo parlare di liberalizzazioni è molto complicato. Lo vediamo con le farmacie. Invece di fare quadrato contro la possibilità che i farmaci si vendano in altri canali distributivi perché non si specializzano in luoghi di primissimo intervento? Non sarebbe meglio e più qualificante per i medici che vi lavorano? Non è anacronistico che si limitino a consegnare medicine prescritte dai medici di famiglia? Liberalizzare nel rispetto di poche regole certe è un atto di civiltà.

La buona politica non può permettersi di continuare a flirtare con le categorie. La sua prima responsabilità è quella di assicurare servizi eccellenti ai cittadini. Al minor costo possibile grazie a una sana concorrenza.

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