Lo stabilimento siciliano di Termini Imerese, che Fiat ha lasciato alla fine del 2011, dopo tante traversie sta lentamente iniziando la sua seconda vita. Dalla nuova proprietà, la società Blutec del Gruppo Metec-Stola, sono partiti gli ordini per l'acquisto delle attrezzature necessarie a produrre componenti per auto. Una speranza per i 700 ex Fiat, la maggior parte (610) in attesa del rinnovo della cassa integrazione. Entro il 2018, se tutto filerà liscio, la seconda fase del progetto, basato sulla mobilità elettrica, prevede il riassorbimento di tutta la forza lavoro.
Ma se in passato le cose fossero andate diversamente, e la politica avesse avuto un atteggiamento diverso, l'ex impianto Fiat forse ora produrrebbe a pieno regime, e magari sarebbe diventato l'hub per il Sud Europa di un colosso automobilistico cinese: Chery.
È Massimo Di Risio, 57 anni, l'imprenditore molisano che ha fondato «Dr», marchio automobilistico di Macchia d'Isernia, in corsa tra il 2010 e il 2011 per insediarsi a Termini, a svelare alcuni retroscena.
C'è da premettere che alla fine del 2011, Di Risio, con l'appoggio dell'allora ministro Paolo Romani e i finanziamenti necessari già approvati, era pronto ad aggiungere a quello di Macchia d'Isernia, dove già produceva auto, il secondo sito siciliano. «Qui avremmo iniziato con una city-car, alcuni Suv e una supercar già battezzata Targa Florio», ricorda Di Risio, il quale aveva già stretto accordi con il gruppo cinese Chery per la fornitura delle scocche utilizzate per assemblare i veicoli. Poi il cambio del governo, a Silvio Berlusconi subentra Mario Monti. E per Di Risio è l'inizio della fine. «Tutto si è bloccato - racconta - e così siamo rimasti senza interlocutori. Non sono mai riuscito a contattare l'allora ministro Corrado Passera. E quando il presidente di Chery venne a visitare il sito di Termini, il ministro non si presentò, delegando un sottosegretario. Lo staff cinese non prese bene tutto questo. Ma la cosa più grave è che un po' di tempo dopo venni sapere dallo stesso numero uno di Chery che il governo italiano si era fatto vivo proponendo al gruppo di trattare, ma senza la nostra presenza, perché Dr non dava garanzie. Il presidente di Chery mi disse: Se non potete fidarvi voi del vostro governo, figuriamoci noi».
Risultato: l'azienda, che nel 2010 aveva prodotto 5.000 automobili in Molise, entra in crisi: Di Risio perde 50 milioni ed è costretto a mettere in mobilità 400 dei 500 dipendenti. «Quello stop per noi è stato il disastro - afferma l'imprenditore -: sono andati persi un possibile business e soprattutto posti di lavoro. Era tutto pronto, probabilmente si è trattato di un dispetto politico, visto che il governo intendeva proseguire con i cinesi in prima persona e prendersi i meriti. Ho perso la fiducia nelle istituzioni e ora ho deciso di fare da solo. Ripartiamo a Macchia d'Isernia con 100 lavoratori. A chi è rimasto ho detto che ci sarebbe stato da soffrire, ma di aver fiducia: c'è stata la cassa integrazione e gli stipendi, a volte, sono arrivati in ritardo. Ma ora ripartiamo con cinque nuovi modelli, una city-car e quattro Suv, che presenteremo al Motor Show di Bologna».
Ad affiancare Dr c'è sempre il colosso Chery, a cui si è unito Jac. Le auto, Euro6 a benzina o Gpl, omologate Ue e a prezzi concorrenziali (da 8.000 a 19.900 euro), sono prodotte in Cina su progetto e design italiano (dello stesso Di Risio), rifinite in Molise e, quindi, immesse nella rete. «Nelle fabbriche di Chery e Jac c'è una linea dedicata ai nostri modelli - precisa Di Risio - e tutto è realizzato secondo le nostre specifiche». A Dr non mancano comunque le spese, tra dazi e trasporto («con Termini non sarebbe stato cosi»).
Di Risio sogna il 2% di quota mercato in Italia, grazie soprattutto alla «piccola» Dr Zero, e prepara il ritorno anche al Salone di Ginevra. L'accordo con i cinesi dura 5 anni, e poi? Il Molise potrebbe diventare la base di Chery o Jac per dare l'assalto all'Europa?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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