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Tim sotto il fuoco di Deutsche Bank

Ondata di vendite speculative sul titolo (-2,7%) durante il vertice Giorgetti-Vivendi

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Deutsche Bank ci ha rimesso lo zampino, anche se le grandezze sono molto diverse: l'effetto sgradevole però resta. Nel 2011 vendette in massa i Btp in portafoglio aggravando la crisi del debito sovrano, oggi lo scherzetto teutonico si abbatte sul titolo di Tim. Ieri la prima banca tedesca, mentre a Roma avveniva un primo importante incontro sul futuro della rete, ha pensato bene di pubblicare un report con un obiettivo di prezzo del titolo a 0,23 euro, tagliando il giudizio sulla società da «hold» (tenere) a «sell» (vendere). Immediata la reazione, con Tim crollata del 2,7% a 0,28 centesimi, anche se erano giorni che una mano venditrice non ben identificata operava abbattendone il valore. Gli analisti di Deutsche avanzano dei dubbi sull'operazione di scorporo della rete, con il titolo che potrebbe sottoperformare perchè il mercato riflette su una società dei servizi (ServeCo) «che rimane non attraente nel contesto di settore». Analisi diffusa con un tempismo certamente non casuale (solo alcune settimane fa Barclays proponeva un obiettivo di prezzo a 0,38 centesimi) e che riportano la memoria a brutti ricordi del passato.

Quanto all'incontro tra il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti e i vertici Vivendi, primo socio di Tim, anche se non presente il fondo Kkr - che tra pochi giorni svelerà la sua proposta sulla rete - ha rappresentato il convitato di pietra. Il ministro, che ha ricevuto in via XX Settembre Yannick Bollorè e il ceo Arnaud de Puyfontaine, ha ascoltato le rimostranze del primo socio di Tim che da tempo aveva chiesto un faccia a faccia. I francesi avrebbero sostenuto che la proposta avanzata dal fondo americano (21 miliardi, più 2 in caso di matrimonio con Open Fiber) è quella di un fondo di private equity speculativo, confezionata nell'ottica di incassare una lauta plusvalenza e distribuire dividendi. L'esempio della chiusura dello stabilimento di Crevalcore della Magneti Marelli - che Kkr controlla attraverso la giapponese Ck Holdings - sarebbe stato citato come esempio di un modus operandi che lavora rispetto a logiche diverse da quelle dello Stato. Secondo Vivendi, il problema è certamente il prezzo troppo basso che svilisce il suo investimento in Tim, ma se su questo punto si potrà trovare un punto d'incontro (certamente non i 26 miliardi che alla fine i francesi avrebbero accettato), un'altra partita determinante è quella della sostenibilità di ServCo: Vivendi ritiene che non possa avere più di 8mila dipendenti e un debito di non più di 5 miliardi.

Da quel poco che trapela, Giorgetti si sarebbe messo in posizione d'ascolto, anche se il governo va avanti con Kkr. Lo stesso sottosegretario Alessio Butti, ieri ha precisato che «separare la rete dai servizi si facilita un mercato paneuropeo». La sensazione è che si attenderà il 15 ottobre, data in cui arriverà l'offerta vincolante di Kkr: una tappa intermedia, perchè da qui si partirà per l'inizio di una trattativa vera.

L'interesse di tutti, del resto, è di trovare una soluzione senza cercare lo scontro frontale e facendo combaciare un mosaico di interessi.

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