Trump raddoppia i dazi contro la Cina

Pronta nuova stangata da 100 miliardi. Pechino: "Ci difenderemo a ogni costo"

Trump raddoppia i dazi contro la Cina

Minacce, minacce e ancora minacce. Più che le note di un crescendo rossiniano, meglio la terrificante Cavalcata delle valchirie per rappresentare l'Apocalypse now commerciale che Donald Trump rischia di far deflagrare. Manifestando l'intenzione di applicare alla Cina ulteriori dazi per 100 miliardi di dollari, l'inquilino della Casa Bianca ha sganciato del napalm sulle possibilità di aprire un negoziato e chiuderlo senza morti e feriti. Alla strategia della pistola alla tempia, Pechino ha già detto di non voler sottostare: «A queste condizioni, non c'è alcuna possibilità di trattativa».

Certo, i rapporti si possono ricucire, i due fronti continuano a girare sullo stesso solco («Non è una trade war»), ma comincia un po' a inquietare questo continuo movimento a pendolo tra inviti a dialogare e ritorsioni sempre più velenose. I mercati, infatti, sono frastornati: fino a giovedì sera avevano scommesso sulla pax tariffaria, poche ore più tardi The Donald li ha gelati. La settimana è così finita con i serbatoi a secco della benzina del rialzo: malino l'Europa (-0,17% Milano), molto peggio Wall Street (-2,7% a mezz'ora dalla chiusura).

Qualcuno, tipo Benoit Couré, uno degli uomini di peso nel board della Bce, comincia a sentire puzza di bruciato. E, fatti due conti, stima una contrazione del 3% nello scambio di beni a livello globale e una frenata del Pil mondiale dell'1% nel primo anno dopo l'adozione delle nuove tariffe. Danni ingenti, possibile innesco di una recessione planetaria. Anche perché non pochi analisti cominciano a interrogarsi su quali potrebbero essere le prossime mosse di Pechino. Il tit for tat, più volgarmente noto come «pan per focaccia», è quasi impraticabile dopo l'imposizione di dazi del 25% su 106 prodotti made in Usa. Il motivo? Non ci sono abbastanza merci americane da colpire. L'ex Celeste Impero deve quindi inventarsi qualcosa di nuovo. Senza grandi sforzi di fantasia, potrebbe cominciare a bloccare i trasferimenti di turisti e studenti negli Stati Uniti, oppure prendere misure contro le compagnie statunitensi dislocate in Cina. Poi, ci sono le cosiddette «opzioni nucleari»: disertare le aste del Tesoro Usa, svalutare lo yuan e portare la guerra sul terreno petrolifero. Spiega l'ad di Petromatrix, Olivier Jakob: «La Cina importa dagli Usa circa 400mila barili al giorno. Eventuali contro-tariffe sul greggio peserebbero sui prezzi degli Stati Uniti e si riverserebbero sui prezzi globali del petrolio».

Trump, però, non sembra curarsene. Ieri se l'è presa anche col Wto, accusato «di essere ingiusto nei confronti degli Usa», visto che la Cina «ottiene vantaggi e benefici enormi» mantenendo lo status di Paese in via di sviluppo. Poi, ha motivato il raddoppio dei dazi, ulteriore misura punitiva dopo i 50 miliardi di tariffe supplementari già autorizzati dalla Casa Bianca e ai quali Pechino ha replicato con un'azione speculare per controvalore: «Anzichè rimediare ai suoi comportamenti scorretti, la Cina ha scelto di colpire i nostri agricoltori e attori del manifatturiero», ha dichiarato Trump, definendo la risposta del Dragone «un'ingiusta ritorsione».

Alla nuova offensiva di Washington, il governo cinese ha risposto ricordando che la Cina combatterà «fino alla fine» e «a ogni costo».

Retorica a parte, ciò che importa è la ricerca di un alleato, individuato nell'Unione europea: «La Cina e l'Ue hanno la responsabilità di sostenere l'ordine commerciale multilaterale basato sulle regole, dobbiamo agire insieme», l'invito dell'ambasciatore cinese a Bruxelles, Zhang Ming.

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