Il rovescio della medaglia dell'incontro tra Donald Trump e i vertici della Case automobilistiche è arrivato dopo gli elogi a Sergio Marchionne, ad di Fca, in virtù della decisione di trasferire una produzione di veicoli dal Messico al Michigan, e la piena fiducia rinnovata dalla Casa Bianca al capo dell'Agenzia Usa per l'ambiente, Scott Pruitt. La doccia gelata riguarda l'applicazione di dazi del 20% sui veicoli non prodotti negli Usa. E, come se non bastasse, la volontà di imporre standard più elevati sulle emissioni per i costruttori stranieri rispetto a quelli in vigore per le Case automobilistiche americane.
Significa che i motori delle macchine spedite da Europa, Giappone e Corea negli Usa, dovranno sottostare a una nuova omologazione da parte delle autorità di Washington. Con nuovi costi, oltre ai problemi che i dazi, se e quando entreranno in vigore, causeranno.
Gli Usa, ricorda l'Acea (Associazione europea dei costruttori di veicoli) rappresentano la principale destinazione delle esportazioni di auto dell'Ue. E per l'Italia, l'export di vetture in America vale 4,5 miliardi, rispetto ai 4 miliardi del settore agroalimentare. Coldiretti, a questo punto, teme che i dazi di Trump scatenino l'immediata ritorsione dell'Ue che, tra l'altro, ha già stilato la sua black list. Il made in Usa a rischio riguarderebbe le esportazioni di manufatti in ferro, acciaio e ghisa, barche a vela e a motore, moto, mais, riso, burro di arachidi e tanto altro.
«Sarebbe una guerra commerciale con scenari inediti e preoccupanti per l'economia e le relazioni dei due Paesi», l'allarme di Coldiretti. È chiaro che il provvedimento annunciato da Trump è indirizzato soprattutto all'industria tedesca, la stessa che nel 2017 ha esportato 494.000 veicoli negli Usa, rispetto agli 804.000 prodotti in loco.
E questo nonostante Volkswagen, Bmw e Mercedes abbiano portato occupazione nel Paese grazie alle fabbriche nate corso degli anni. Con i dazi al 20%, i costruttori si troverebbero obbligati a ritoccare i listini delle auto esportate verso il basso, allo scopo di attenuare l'impatto del provvedimento sul consumatore. Inevitabili, a questo punto, le riduzioni dei margini.
Insieme a quella tedesca, anche l'industria italiana dell'auto verrebbe colpita, in particolare nel momento in cui Fca sta mettendo a punto le nuove strategie produttive che l'ad Marchionne illustrerà il prossimo 1 giugno a Balocco.
Tutto bene ed elogi di Trump al Marchionne «americano»; una stilettata, invece, per il Marchionne del Lingotto. Il nuovo corso di Alfa Romeo e Maserati, infatti, è legato a doppio filo con lo sviluppo di questi due marchi negli Stati Uniti. Il dazio del 20% e la stretta sulle emissioni per i modelli che varcheranno l'Atlantico potrebbero imporre una revisione della strategia di rilancio proprio alla vigilia dell'Investor Day. Le Alfa Romeo e le Maserati, è stato sottolineato più volte, non si muoveranno come produzione dall'Italia. La tassa del 20% farà cambiare idea a Marchionne? E se così fosse, alla luce di una capacità produttiva satura per Fca negli Usa, non rimarrebbero che gli impianti di Windsor e Brampton, in Canada. Ma questo Paese, insieme al Messico, è al centro delle accese discussioni innescate da Trump sulla validità degli accordi Nafta.
E portare le due produzioni lì sarebbe rischioso. E poi c'è Tim Kuniskis, neo capo di Alfa Romeo e Maserati, grande esperto di vendite negli Usa, il quale potrebbe trovarsi - ironia della sorte - a dover puntare su altri mercati a lui poco conosciuti.
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