E ora Ursula von der Leyen può davvero dimostrare di che pasta è fatta. Fra i monti di Davos, la presidente della Commissione europea ha visto ieri materializzarsi la sagoma di Donald Trump nei panni di Yeti Scalciante. Un incontro ravvicinato del tipo bellicoso, senza savoir faire diplomatico e fronzoli retorici. The Donald fa l'indiano e non vuol fare prigionieri. C'era da metterlo in conto: sotterrata l'ascia di guerra con la Cina, la Casa Bianca ha tutto il tempo per assediare Forte Apache Bruxelles. Non chiede, pretende, forte dello sbilancio commerciale col Vecchio Continente. Ballano 150 miliardi di dollari, ai quali sommare l'urticante tassa sui giganti del web tesa a colpire pilastri dell'Impero a stelle e strisce quali Google, Amazon e Facebook, gli Houdini del fisco. L'Italia rischia, colpevole di aver introdotto dallo scorso primo gennaio una digital tax del 3% sull'ammontare dei ricavi ottenuti nell'anno solare.
Presa in disparte, Ursula è stata messa contro al muro: L'Europa non ha altra scelta, se non quella di negoziare un nuovo accordo commerciale con gli Usa, la minaccia del tycoon. Altrimenti? Altrimenti ci arrabbiamo, mettendo i dazi sulle vostre automobili, la replica. Dazi pesanti, nell'ordine del 25 per cento. Il fatto è che la riscrittura delle regole non prevede un do ut des. L'America prende e, in massima parte, non dà. Cina docet, visto il perimetro assai sbilanciato sul versante di Washington della raggiunta intesa sulla cosiddetta Fase Uno. E se il Dragone ha finito per piegare la testa, figuriamoci quale resistenza può opporre l'Europa.
A meno che Ursula non faccia il miracolo, ricompattando un corpaccione sfilacciato, egoista e litigioso. Lei passa per essere un'extraparlamentare dell'austerity capace di sorpassare a destra un tipino accomodante come l'ex ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, ai tempi della lobotomia finanziaria praticata alla Grecia. E' cresciuta all'ombra di Angela Merkel, esibendo sempre lo stesso sorriso contagioso a celare un'anima di acciaio temperato. Un'Ercolina sempre in piedi, e tutta d'un pezzo. Quando venne nominata a capo della Commissione Ue al posto del mai compianto Jean-Claude Juncker, qualche genio se ne uscì con una battuta fulminante: Finalmente abbiano un uomo alla guida dell'Europa. Di sicuro, è ciò che ora serve.
Ma se la von der Leyen sa bene come si maneggia il potere e si gestiscono le crisi, convinta com'è che i pericoli arrivino ancora da Est, è ora in una posizione scomoda: atlantista convinta, si trova di fronte il nemico sbagliato.
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