Usa e Cina provano a trattare sui dazi

Ma Washington pone sei condizioni per tutelare le sue imprese sul suolo cinese

Usa e Cina provano a trattare sui dazi

L'America detta le condizioni per evitare una guerra a colpi di dazi, e Pechino non le chiude la porta in faccia. Sono sei punti in tutto, incardinati su un principio di revisione dei rapporti teso a sanare l'enorme deficit commerciale Usa e a garantire alle imprese Usa di competere ad armi pari con quelle del Paese asiatico. Si comincia con la richiesta di un taglio delle tariffe del 25% che la Cina impone alle auto prodotte negli Stati Uniti; si chiede un aumento degli acquisti da parte di Pechino di semiconduttori prodotti negli Usa e la riduzione dei sussidi alle imprese statali; quindi si pretende una maggiore trasparenza normativa e meno restrizioni sulle società a stelle e strisce in Cina, in particolare sui requisiti per le joint venture; e, infine, un accesso maggiore al mercato cinese alle imprese finanziarie Usa. Questo elenco di «cose da fare» è stato prospettato dal segretario al Tesoro americano, Steven Mnuchin, al vice premier cinese, Liu He, in una lettera inviata la scorsa settimana i cui contenuti sono stati rivelati ieri dal Wall Street Journal e dal Financial Times.

Pechino sembra non essersi irrigidita più di tanto di fronte alle richieste, lasciando intuire che una forma di negoziato, seppur ancora nella fase embrionale, sta prendendo forma. Si lavora insomma dietro le quinte, mentre ufficialmente i rapporti tra i due Paesi sono alquanto tesi. Lo scorso venerdì Donald Trump ha infatti imposto dazi su acciaio e alluminio in arrivo negli Usa e ha proposto tariffe su importazioni cinesi per un valore di 60 miliardi di dollari l'anno; Pechino ha replicato annunciando l'intenzione di introdurre tariffe aggiuntive su 128 prodotti made in Usa, per un valore di tre miliardi di dollari, e prospettando la possibilità di disertare le prossime aste del Tesoro americano. Ma subito dopo l'aggressiva mossa statunitense sui dazi, Liu aveva lanciato un segnale di distensione, lasciando trapelare la sua disponibilità a negoziare. «La Cina - aveva spiegato - è pronta a difendere i suoi interessi nazionali e spera che si possa lavorare insieme per salvaguardare la stabilità generale delle relazioni economiche e commerciali tra la Cina e gli Usa». Un'ulteriore prova che Pechino non vuole per ora calcare la mano è data dall'esclusione dalle misure tariffarie dei semi di soia Usa e degli aerei Boeing. Non è escluso che il prossimo 8 aprile Pechino colga l'occasione del Boao Forum, la versione asiatica del World Economic Forum, per annunciare l'intenzione di aumentare l'accesso straniero ai mercati finanziari cinesi, come peraltro preannunciato dal governatore della People's Bank of China.

Il fatto che qualche fonte del Tesoro Usa abbia fatto trapelare i contenuti della lettera di Mnuchin può essere spiegato con l'intenzione di rassicurare Wall Street, protagonista di due sedute da incubo la scorsa settimana, la peggiore dall'inizio del 2016. L'obiettivo pare essere stato centrato, visto che per tutta la seduta di ieri il Dow Jones ha viaggiato in rally (+2,2% a un'ora dalla chiusura). Decisamente nullo, invece, l'impatto sull'Europa, in calo per le tensioni con la Russia e con Milano (-1,24%) ulteriormente penalizzata dall'incertezza per la formazione del governo. L'Europa, che per evitare i dazi deve trovare un'intesa con l'America entro il 1 maggio, rischia tra l'altro di restare coinvolta suo malgrado in un'eventuale guerra commerciale tra i due suoi principali partner.

Eurostat ha infatti reso noto ieri che Stati Uniti e Cina - rispettivamente con 631 miliardi di euro o il 16,9% delle merci e con 573 miliardi o il 15,3% - restano i due principali partner commerciali dell'Unione europea nel 2017.

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