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Usa, il mercato del lavoro non riparte

Ad agosto creati solo 235mila nuovi posti. Ora la stretta della Fed è meno probabile

Usa, il mercato del lavoro non riparte

«Washington, abbiamo un problema». Rischia di restare bloccata sulla rampa di lancio, a Eccles Building, la capsula «Tapering» della Fed. Il via al ritiro graduale degli aiuti da 120 miliardi di dollari al mese sembra infatti compromesso, dopo che il dipartimento al Lavoro Usa ha ieri annunciato che in agosto sono stati creati appena 235mila nuovi posti, poco meno di un quinto rispetto a un mese prima. È il peggior dato dal gennaio scorso, a conferma della perdita di slancio della ripresa causata per buona parte dalla variante Delta e dal conseguente ripristino delle misure restrittive. Soffrono più di tutti, non a caso, settori come quelli del tempo libero e dell'ospitalità, dove il ritmo delle assunzioni si è grippato fino ad assumere un andamento da encefalogramma piatto, ma è quasi l'intera filiera economica ad aver perso smalto.

Con questi numeri, l'America che lavora fatica a ricucire le cicatrici lasciate dal Covid: dall'aprile 2020 l'aumento degli occupati è stato pari a 17 milioni, ma all'appello mancano ancora oltre cinque milioni di americani da ricollocare prima di poter dire di aver saldato i conti con la pandemia. Se non proprio una missione impossibile, di sicuro un'impresa non facile se si dà credito a Morgan Stanley, che ha tagliato la crescita del Pil del terzo trimestre a poco più del 2%. Anche perché al deterioramento congiunturale si va saldando il continuo surriscaldamento dell'inflazione, destinata a salire ancora grazie a un altro balzo (+4,1%) delle retribuzioni orarie medie rispetto all'agosto dell'anno scorso. La Casa Bianca non appare tuttavia preoccupata: la recovery è «durevole e forte», ha affermato il presidente Joe Biden.

Questo scenario pone invece la Fed di fronte a un dilemma: meglio cominciare a contrastare subito le dinamiche inflazionistiche, intraprendendo il processo di normalizzazione della politica monetaria per mezzo del tapering, in modo da non ritardare il rialzo dei tassi? Oppure: sospendere tutto, in attesa che dal mercato del lavoro arrivino indicazioni più precise sul suo stato di salute? In realtà, tenendo conto di quante volte il capo della banca centrale Usa, Jerome Powell, ha sottolineato sia la transitorietà dell'inflazione sia la necessità di robusti miglioramenti dell'occupazione prima di ridurre gli aiuti, la strada pare già segnata: i falchi della Fed dovranno ripiegare le ali e accettare, nella migliore delle ipotesi, il rinvio della stretta.

Come spesso accade, però, una notizia cattiva si trasforma in una good news, soprattutto per i mercati. Ieri Bloomberg titolava: «Il deludente rapporto sull'occupazione può portare più stimoli». È infatti prevedibile che i democratici colgano la palla al balzo per ribadire la necessità di varare il nuovo pacchetto di aiuti da 3.500 miliardi. Biden ha infatti subito lanciato un appello al Congresso: «È importante che approvi la mia agenda economica», imperniata su forti investimenti e su un aumento della tassazione per le grandi aziende, criticate dal successore di Trump perché non vogliono pagare la loro «giusta parte» di imposte. «Approveremo queste misure - ha detto Biden - , il Paese ha bisogno di questi investimenti».

Ma i repubblicani fanno fuoco di sbarramento, convinti del fatto che il forte calo dei posti di lavoro è generato proprio dall'eccesso di sostegno governativo che disincentiva la ricerca di un impiego.

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