Zegna va a Wall Street con i fondi di Bonomi. Ed Etro finisce ad Arnault

In Borsa il 27% del gruppo, valutato 3,2 miliardi. E i fari del mercato tornano su Tod's

Zegna va a Wall Street con i fondi di Bonomi. Ed Etro finisce ad Arnault

Tutti vogliono il made in Italy, dai fondi di investimento, ai colossi del lusso globale disposti a pagare multipli stellari pur di conquistare la moda italiana.

Nello spazio di 48 ore è stata annunciata la cessione del 60% di Etro, brand fondato nel 1968, a L Catterton (ovvero a Bernard Arnault, numero uno del lusso mondiale con Lvmh) e la quotazione di Ermenegildo Zegna a New York attraverso una fusione con la spac a stelle e strisce di Investindustrial. «Il business del lusso sta diventando molto sfidante e questo progetto ci permette di essere affiancati da un partner come Andrea Bonomi che spero possa stare con poi a lungo» ha spiegato ieri, nel corso di una conferenza stampa, Gildo Zegna, ad dell'omonimo gruppo, per poi sottolineare: «È un progetto industriale, non finanziario, non vogliamo essere un polo del lusso». Il collocamento a Wall Street, atteso per fine anno, porterà sul mercato il 27% del gruppo biellese mentre il 62% rimarrà saldo nelle mani dell'omonima famiglia e l'11% sarà detenuto dal private equity di Bonomi. L'operazione, con Mediobanca advisor di Zegna, avverrà a una valutazione iniziale di 3,2 miliardi di dollari ovvero 2,2 volte le vendite stimate a fine anno e 10,3 volte il margine operativo lordo. Neppure Arnauld ha badato a spese: pur di portarsi a Parigi il controllo di Etro ha riconosciuto alla maison una valutazione di 500 milioni di euro, pari a 32 volte l'ultimo Ebitda conosciuto (del 2019).

Anche per questo, mentre cresce l'interesse per il lusso tricolore, si guarda alle maison rimaste nelle mani delle famiglie fondatrici, sempre più rare. A iniziare da Tod's che, dopo il rafforzamento nel capitale di Lvmh (dal 3,2% al 10% del calzaturificio di Sant'Elpidio a Mare) e l'ingresso in cda di Chiara Ferragni, è passata in meno di tre mesi da 35 a 51,5 euro per azione. Il mercato sente già profumo di Opa, mentre il patron Diego della Valle, in una recente intervista, ha sostenuto che l'operazione «prelude a future collaborazioni» e che «se un domani dovessi decidere, insieme alla mia famiglia, di vendere ulteriori quote, Lvmh sarebbe il socio ideale».

Tra gli osservati speciali c'è anche Salvatore Ferragamo che oggi svela la trimestrale dopo aver appena annunciato l'arrivo al vertice di Marco Gobetti Burberry. La maison toscana è ciclicamente vista come potenziale target dei colossi francesi anche se finora la famiglia, che controlla il 54,2% del capitale, ha sempre smentito di voler vendere. Ma mai dire mai come dimostrano anche le ultime operazioni. Aeffe e Brunello Cucinelli sono gli altri due brand del lusso quotati a Milano e in mano, per ora, alle famiglie fondatrici rispettivamente con il 61,7% e il 51% del capitale, mentre Prada, quotata a Hong Kong, è controllata per l'80% del capitale da Prada Holding.

A far battere il cuore al mercato sono infine due fuoriclasse come Dolce&Gabbana e Giorgio Armani. Alfonso Dolce, ad di Dole&Gabbana, in una recente intervista, pur smentendo trattative in corso con Kering, non escludeva che il gruppo potesse «partecipare a un progetto italiano più ampio». Quanto al re della moda, nelle ultime settimane ha dichiarato di considerare una alleanza con un'azienda italiana. Il mercato parla di avance da parte della Exor di John Elkann.

«La decisione di non attivare un piano di buyback (da parte di Exor ndr) potrebbe essere legata alla volontà di investimento di dimensioni rilevanti» nota Intermonte che ricorda che per Armani si parla di una valutazione di 5-6 miliardi.

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