Il dibattito sul riuso del Mercato del pesce di Genova offre l'occasione per una serie di riflessioni, che vanno ben oltre la destinazione di un edificio, seppure significativo.
C'è intanto un dato, strettamente politico, che mette in rilievo l'inconsistenza culturale e l'improvvisazione dell'attuale giunta genovese e della maggioranza che la sostiene. Pensare di utilizzare un'opera architettonica, come quella progettata, nel 1933, da Mario Braccialini, quale sede di un «Centro sociale», significa non solo disconoscere, se non disprezzare, il valore di una delle opere più significative del razionalismo realizzate a Genova, quanto soprattutto non considerarne le potenzialità, una volta abbandonata l'attuale destinazione d'uso commerciale.
Qualcuno dei vertici di Tursi è andato a dare un'occhiata all'edificio? Ci si è accorti della sua collocazione?
L'opera di Braccialini è posta all'entrata dell'area del Porto Antico da una parte e del Centro Storico dall'altra. Si può dire che essa li unisce simbolicamente, assumendo un valore tutto particolare, di «porta» antica e moderna della realtà socio-culturale genovese.
Riconoscere al Mercato del pesce questo valore simbolico impone perciò di individuarne una destinazione d'uso adeguata e non banale, all'altezza della Storia stessa della città oltre che del valore architettonico dell'edificio.
Basta saperla leggere, questa Storia, senza preconcetti. Si scoprirebbe allora che a Genova, il volume e la qualità degli interventi fu, fino alla metà del Novecento, talmente rilevante e di tale pregnanza architettonica ed urbanistica da costringerci, oggi, a parlare di una città «novecentista», naturale continuazione della città medioevale, di quella dei «secoli d'oro» e di quella umbertina e borghese.
Si colleghi tutto questo con la forza produttiva, economica e sociale, che la città seppe esprimere nel XX Secolo. Ci si accorgerà allora che poco di quella Genova è oggi conosciuto, valorizzato, fatto oggetto di organici interventi.
L'edificio di Braccialini può rispondere a questa esigenza.
Museo? Luogo di elaborazione della memoria «moderna» della città? Spazio destinato al Novecento genovese, nelle sue diverse espressioni architettoniche, socio-economiche, artistiche? Laboratorio interdisciplinare? Tutto questo e molto altro ancora, facendone il luogo d'incontro, di confronto e di valorizzazione delle diverse realtà già presenti sul campo.
Pensiamo alla Fondazione Ansaldo, con il suo ricco patrimonio archivistico, alle esperienze portate avanti dalla professoressa Sara De Maestri, coordinatrice ligure dell'A.I.P.A.I. (Associazione Italiana Patrimonio Archeologico Industriale) e responsabile del Laboratorio di Archeologia Industriale dell'Università di Genova, alla Wolfsoniana, alla Fondazione Novaro, all'Archivio Storico della Pubblicità.
Il «luogo» ed il «logo» potrebbero creare le condizioni per valorizzare questo aspetto poco conosciuto della Storia genovese, facendone un veicolo importante di promozione-identificazione della città ed insieme uno spazio di elaborazione postmoderna.
Certo è che non ci si può accontentare di soluzioni «tappabuchi» e di basso profilo, indegne dell'importanza dell'edificio e della partita che Genova può/deve giocare, guardando al futuro, senza perdere di vista però il suo glorioso passato «novecentista»: un po' Giano bifronte, com'è nel suo nome e nel suo stesso dna.
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