Tattoo di Earl Thompson, tradotto ora per la prima volta in Italia (Gramma Feltrinelli) fu pubblicato negli Usa nel 1974. Oggi è considerato uno tra i più grandi romanzi americani dimenticati. Questo romanzo è un capolavoro, o poco ci manca. E quel poco dipende da voi, lo si può leggere come - come farebbe mia madre - una aberrazione, il grado zero dell'essere umano o come la grande unica confessione di uno scorticato vivo troppo ferito a morte per dimenticare e troppo vivo per nascondere la verità. Sembra scritto oggi e forgiato sulla pietra come una scultura, come monito per domani quando ancora sarà attuale. Una scrittura che è un tamburo d'inchiostro che batte il tempo a noi soldatini, noi lettori, che rimaniamo imprigionati da un testo maledetto ma che tale non è.
Ma di cosa parla? La domanda giusta sarebbe di cosa non parla. Tratta di noi che davanti al politically correct, la nuova democrazia sotto dettatura, non possiamo scrivere negro, frocio, puttana ma sarebbe triste ridurlo a questo. Ma tant'è.
Il protagonista è un ragazzino di 15 anni cresciuto in Kansas, nel Midwest americano, nel 1945. Abusato sin da piccolo da una madre prostituta e da un padre galeotto, cresciuto nei sobborghi più degradati e degradanti della "White trash" ("spazzatura bianca") da un nonno fascista e conservatore in una baracca di 40 mq, in un quartiere di baracche, dove le zecche pungono a sangue, dove le vicine di casa sono per lo più vedove di guerra sfatte ma voraci anche di adolescenti, dove i ragazzini di colore crescono in un fango ancora più lercio. In tutto questo il protagonista John cerca di sopravvivere al sogno americano - vanificato dal cinismo del nonno paterno, analfabeta e violento e dagli assistenti sociali che lo trattano da rifiuto sociale - capendo subito che la guerra è finita - "quella con i nazi" - ma esiste un conflitto ancora più crudele, ed è l'aver lasciato una generazione di ragazzi, la sua, senza neanche il sogno di combattere. La loro è una sconfitta sociale già decretata. E allora il piccolo John - che non suona un tamburo di latta ma una marcia di acciaio e cemento e miseria - falsifica i documenti per essere considerato maggiorenne ed essere arruolato contro i "piccoli giap" in Corea, a Shanghai, in Germania. Nulla gli appare disumano: lo stupro collettivo di una infermiera della Croce Rossa o la determinazione di avere come trofeo di guerra la testa di un nemico scovato nella giungla.
Tra scene di guerra atroci alternate a immagini di sesso estremo, Earl Thompson ci consegna un romanzo che fa impallidire persino Sherwood Anderson o John Steinbeck. Oggi che il moralismo impera lo scrittore americano ci dà una lezione.
Se vuoi davvero fare breccia nel cuore di esseri umani che si scandalizzano per tutto (ciò che vedono, leggono, sentono) scrivi come un tamburo che batte il ritmo del loro cuore e sarà impossibile che ti abbandonino. Mia madre direbbe ugualmente "che schifo", ma mamma inizia a leggere le prime righe e fammi sapere.