«Effetto valanga»: se la crisi diventa fantascienza

I l romanzo della crisi economica ha una lunga tradizione alle spalle. Volendo, si può partire dal Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, che illumina il lato oscuro dell’età del jazz, passare per classici quali Furore di John Steinbeck e Tobacco Road del semi-dimenticato Erskine Caldwell, e arrivare al recente Too Big to Fail di Andrew Sorkin che mette in scena, con la tecnica della narrativa, una meticolosa inchiesta sul crac della banca d’affari Lehman Brothers. In Italia, per restare ai nostri giorni, Edoardo Nesi ha affrontato in due libri (Storia della mia gente e Le nostre vite senza ieri) il tema dal punto di vista del piccolo imprenditore schiacciato dalla concorrenza globalizzata e abbandonato, se non vessato, dalle istituzioni. Anche altri scrittori, come Giorgio Falco e Romolo Bugaro, con stile e approcci diversi, hanno affrontato la questione.
Tra gli autori più singolari si colloca Mack Reynolds (1917-1983) col suo Effetto valanga, un romanzo del 1974 che arriva ora nelle librerie italiane (Odissea Delosbooks, pagg. 204, euro 9,80; esiste una precedente edizione del 1976, nella collana Urania di Mondadori, ma passò inosservata). Reynolds è un atipico. Non a caso è apprezzato da categorie di persone che si collocano in campi politicamente opposti. Lo hanno riscoperto i conservatori libertari, strenui difensori del mercato, e i socialisti affascinati dall’utopia. La sua opera è consigliata sia dal think tank di area liberale Ludwig Von Mises Institute sia dall’astro nascente della Science Fiction inglese, il marxista China Miéville. Per inciso, Reyndols ha alle spalle una forte tradizione socialista: suo padre Verne (omaggio a Jules Verne) era stato figura di primo piano del Socialist Labor Party, e fu candidato due volte alla presidenza degli Stati Uniti. Ma allora dove risiede il fascino che Reynolds esercita sui lettori di destra? Basta leggere Effetto valanga per capirlo. La trama, in sintesi, è questa: in un futuro non troppo lontano, un uomo qualunque di una città Usa non è più in grado di saldare il mutuo per l’acquisto di un nuovo frigorifero. Questo fatto minimo innesca una reazione a catena che fa esplodere la crisi. I consumi crollano, la produzione si arresta, la crescita diventa decrescita esponenziale. Alla Casa Bianca si pensa di ripescare le ricette di Roosevelt. Ma la formula è logora: non solo le tasse speciali, destinate a diventare perenni, deprimono ulteriormente l’economia, ma l’applicazione dei provvedimenti richiede che il Presidente si doti di molti, troppi poteri riservati al Congresso, uccidendo di fatto la democrazia. Inoltre il governo è già la più grande industria della nazione perché «da solo impiega più persone e spende più denaro di sei gruppi industriali messi assieme». Soldi ben spesi? Beh, tra i progetti finanziati c’è quello per insegnare l’alfabeto ai delfini... Nel frattempo, nel blocco sovietico, il capo del Partito comunista regna come un despota e i conti dello Stato colano a picco. Per capire cosa non funziona nel sistema, viene arruolata una persona di buon senso, un intelligente cittadino medio, che viaggia nel Paese annotando cosa non torna. Risultato: i funzionari sovietici si concentrano su imprese tanto megalomani quanto inutili, senza tenere conto della realtà. La gente non ha da mangiare. Loro invece pranzano con champagne e tartine al caviale. L’intelligente cittadino medio invita a evitare ruberie e sprechi ma è costretto all’esilio, perché le riforme non si possono fare: minano alla base quella che per Reynolds è la versione degenerata del comunismo.


Alla fine, sarà proprio il rilancio dei consumi a risollevare le sorti degli Usa; mentre il sogno di un socialismo dal volto umano pare destinato a restare una utopia. Effetto valanga è attuale e spiazzante. Come le idee che non si lasciano intruppare e trasformare in rigide ideologie.

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