Il Cairo Qualche sera fa, nel ricco quartiere di Zamalek, alcuni giovani hanno scattato fotografie con i telefonini mentre calpestavano i manifesti elettorali del Partito Giustizia e Libertà, espressione politica dei Fratelli musulmani. Poi, racconta un amico, sono andati in piazza Tahrir e hanno distribuito i cartelloni ai manifestanti, suggerendo loro di usarli come tappetino su cui sedere. A una settimana dalla grande manifestazione della Fratellanza a Tahrir, che aveva ricompattato i ranghi delle forze politiche contro i militari, il movimento si è alienato la piazza.
Oggi molti partiti hanno organizzato una nuova protesta «del milione», che vuole la fine del regime militare, la posticipazione delle elezioni. Non ci saranno i Fratelli musulmani, opposizione più organizzata del Paese, favoriti alle elezioni che dovrebbero partire lunedì (ieri, i militari hanno assicurato che il voto si terrà). I membri del gruppo non hanno partecipato alle proteste e agli scontri degli ultimi sei giorni.
E il 21 novembre, quando i generali hanno invitato le forze politiche a negoziare, la Fratellanza si è alienata gli altri movimenti correndo al tavolo della trattativa e accettando di restare lontano dalla piazza in cambio di un’anticipazione del voto presidenziale. Secondo un comunicato apparso sul sito del movimento, quello che accade in piazza è una «cospirazione per creare caos e rimandare la transizone». Il gruppo islamista vede nel posticipo del voto un’occasione persa e nelle turbolenze di Tahrir una minaccia. Ed evita la piazza. Facendo infuriare il resto delle opposizioni. «Come possono stare lontani mentre la polizia uccide?», si chiede Taha, 21 anni. Da mercoledì sera, l’esercito si è posizionato tra polizia e manifestanti, in una della vie attigue alla piazza, sul «fronte».
Ed è stata raggiunta una fragilissima tregua.
Per Bassem Kamel, candidato del partito Social democratico, la Fratellanza «vuole soltanto il suo pezzo di torta. È sempre stato così: sotto Nasser, Sadat, Mubarak e ora con i militari». Sul suo blog, Issandr Al Amrani, uno dei più attenti osservatori della situazione egiziana, spiega che i Fratelli musulmani «stanno ancora una volta andando contro la corrente predominante nel Paese», come a febbraio, quando sono corsi al tavolo della trattativa del vice presidente Omar Suleiman per assicurarsi un’intesa.
Le loro strategie hanno fatto arrabbiare molti - il partito Al Ghad di Ayman Nour ha minacciato di uscire dalla coalizione - e hanno anche messo in luce divisioni interne, scontri generazionali. Nelle ultime ore, rivela al Giornale Mohammed Adnan, ex membro dei Fratelli musulmani ora in un nuovo partito, almeno 150 giovani hanno lasciato per protesta la Fratellanza, una diaspora cominciata già nei primi mesi della rivoluzione.
Ma ancora più significativa è la crepa aperta nella vecchia guardia. Mentre il politburo spiegava il perché dell’assenza dalla piazza, Mohamed Beltagy - funzionario di rango di Giustizia e Libertà - scendeva a Tahrir. Ha poi detto al New York Times che il movimento «non può mantenere le distanze dalla crisi».
Per alcuni analisti, eventi e antipatie sollevate potrebbero erodere il consenso dei Fratelli musulmani. Non tutti sono d’accordo: «Hanno perso credibilità con chi comunque non avrebbero votato per loro», spiega Al Amrani.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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