Cultura e Spettacoli

Einaudi: "Così la mia musica ha conquistato anche il tg"

Il pianista si racconta: "Ho lavorato come un grafico per dare un suono alle notizie". In uscita il dvd "Divenire". Il 4 e 5 novembre suona a Roma. Il 7 a Londra

Einaudi: "Così la mia musica ha conquistato anche il tg"

Milano - Il suo piano inanella note semplici, che proprio per questo si trasformano in cibo fine per lo spirito. Ascoltando Ludovico Einaudi si capisce quanti generi abbia frequentato per distillare quello stile scarno e minimalista, giocato sui tasti dell’uderstatement, che da suono di culto ha scalato le hit parade internazionali della classica e del pop. Fin qui nulla di nuovo; casomai la novità sta nei continui slalom di Einaudi per evitare la noia della ripetizione e nella risposta entusiastica del pubblico ai suoi esperimenti: che siano i nuovi inserti che punteggiano il Tg1, o Divenire, il suo primo dvd ufficiale in uscita il 4 novembre, o i recital che trasformano le sale da concerto in stadi come accaduto qualche giorno fa al Trianon di Parigi e come avverrà il 4 e il 5 novembre all’Auditorium di Roma e il 7 tra le severe mura della Royal Albert Hall londinese.

Caro Einaudi, lei spazia da Berio al rock, al folk dei Tinariwen mantenendo un grande rigore stilistico.
«Sì, perché la bella musica si insinua nelle stanze più diverse senza patenti per muoversi. Prima di comporre io immagino di viaggiare in uno spazio libero e di accompagnare il pubblico attraverso percorsi che non si aspetta».

Così, a sorpresa, ha fatto le musiche per il Tg1.
«Non amo guardare la tv, però mi è piaciuto entrare in un meccanismo di comunicazione così importante. Il Tg è un classico, quindi non ho osato toccare la sigla, piuttosto ho lavorato come un grafico perché la notizia avesse un nuovo contenitore sonoro. Una sfida difficile perché ho dovuto creare una melodia che andasse bene per ogni tipo di notizia».

Ha lavorato in collaborazione con la Rai?
«Mi hanno mandato dei nastri con le voci registrate degli speaker, e ho utilizzato la lettura delle notizie come guida per costruire l’accompagnamento».

Ora sta per uscire il dvd Divenire, un altro successo assicurato.
«Non dimenticherò mai che il mio primo disco vendette solo una settantina di copie. Io comunque non vado a caccia di successo. Volevo avere delle immagini da regalare ai fan e ho riversato su dvd un concerto dell’anno scorso al Palazzo del Tè di Mantova; dove ci sono brani dell’ultimo cd, Divenire, in una nuova veste, più rock ed elettronica grazie ai fratelli Lippok, e qualche vecchio brano come Eden Roc».

Ha conquistato Scala, Bolshoi, l’Inghilterra ed è sempre in giro in concerto. Che carte gioca per incantare il pubblico?
«La creatività porta con sé l’imprevedibilità. Mi piace pensare alla musica come ad un gruppo di fiumi che si buttano in uno stesso mare che va sempre alimentato, per esempio col vento dell’elettronica, o con le tempeste dell’improvvisazione».

Quindi dobbiamo aspettarci delle novità nei prossimi concerti?
«Si, anche perché i muscisti che mi accompagnano, come Ballake Sissoko e Paolo Fresu, sanno colorire le esecuzioni con pennellate sempre diverse e alla fine il quadro complessivo ogni volta ha un nuovo volto. Poi ho scritto alcune nuove composizioni che piano piano inserirò nei miei recital; alcune le sperimenterò a Londra, nel concerto alla Royal Albert Hall».

Lei è sempre sulla cresta dell’onda, invece pionieri del minimalismo come Philip Glass e Michael Nyman sono stati molto criticati per i loro ultimi lavori. Il minimalismo è in crisi?
«Minimalismo ormai è un concetto che sta stretto a tutti. La cosa importante è il cuore e la ricerca, il resto sono sterili definizioni. Io comunque non mi fido delle recensioni; le sensazioni che prova chi scrive sono diverse dalle mie o da quelle di un altro ascoltatore e così via. Vorrei vedere personalmente le ultime opere di Glass e Nyman, che peraltro mi sembrano molto poco minimaliste».

Il piano solo oggi è prepotentemente di moda anche per merito suo.
«Siamo in tanti a muoverci su coordinate diverse, pianisti con radici ed obiettivi diversi. Io sono partito dal jazz, dal rock, ho studiato con Luciano Berio e poi ho deciso di dedicarmi al piano solo. Quando suonavo commentando le immagini dei film muti mi sembrava d’essere un carbonaro. Poi il piccolo gruppo dei miei fan all’improvviso è diventato un mare di gente con cui mi confronto. Tanto che ogni tanto piazzo una telecamera sul pianoforte, mi collego al web e chiedo a chi ascolta di commentare i miei nuovi brani».

Nel trionfo dei suoni di consumo, si allarga l’orizzonte della musica di qualità?
«C’è un pubblico che ama una musica diversa da quella radiofonica. Per avere maggior spazio bisogna saper comunicare; non basta l’impegno artistico, ci vuole dall’altra parte qualcuno che ci creda: istituzioni, discografici...

Un lavoro di gruppo come il concerto, dove la gente applaude me, ma il successo dipende anche dall’addetto alle luci».

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