nostro inviato a Madrid
Finisce così, avvolto da un accappatoio blu sui gradini del camerino; finisce così, stravolto, mentre là fuori cè ancora il pubblico che ansima dopo due ore e mezzo di corrida pop a testa bassa e braccia alzate, ballando e ballando, perché sul palco cera il ragazzo di casa, Miguel Bosè, e latmosfera era quella della festa gioiosa ed elegante, appena arruffata dal vento e dalla nostalgia. Quando è arrivato qui, sul suo palco nella Plaza de Toros, Miguel, o meglio Papito come da sempre lo chiamano a casa, ha respirato lodore della sabbia, perché cè la sabbia alta un dito sul fondo della plaza, e respirato la puzza dei tori che qui vengono a farsi matare sperando di matarli loro, quei maledetti picadores vestiti di colori.
E allora, passando sotto la puerta de caballos che si apre davanti al pubblico, anche lui si è sentito a casa visto che proprio qui suo padre è diventato Dominguin il re dei toreri, se ne arrivava con i cappellacci a tese larghe e le giacche nere, si cambiava proprio dove sè cambiato Miguel e poi entrava a sfidare i boati che erano forti come quelli che tra le luci blu lo hanno accolto laltra sera mentre le tastiere tornavano indietro agli anni Settanta, facendo gli stessi ghirigori che accompagnavano la chitarra di Santana.
Olè.
Signore e signori, è il rinascimento di Miguel Bosè, il George Michael del pop latino alla sua seconda giovinezza perché qualcuno, come la brillante Carosello italiana, ha creduto in lui pubblicando uno dei ciddì più belli dellanno, Papito, collezione di duetti che sta a metà tra leggerezza e danza, tra il vecchio Bosè, spesso didascalico e vaporoso, e quello di oggi, concreto e accipicchia quanto ispirato. Subito un medley di Sereno, Duende e Nena perché sono trentanni che fa musica e mica è facile scegliere dentro il proprio passato.
Daltronde persino il palco è limmagine simbolica di una puerta, stavolta non dei caballeros ma dellanima: sullo sfondo cè un incrocio geometrico di tubi che è una sorta di gabbia da cui finalmente uscire e volar via verso la rinascita. Lui, per sentirsi torero, è vestito di nero fino agli stivali, una giacca gli squadra le spalle, accentua la tensione del volto e chissà chi è più teso tra lui e i ventimila che lo aspettano fino a Bambù (sul cd è cantata con Ricky Martin atteso qui fino allultimo) prima di sciogliersi e dondolarsi sul basso di Sevilla (lui tira fuori persino un ventaglio flamenco) e correre sul tappeto orchestrale di Mirarte o su quello dolce e sgarzolino di Partisano. Certo, anche qui ci sono i duetti: tanto per cominciare Este mundo va con Leonor, poi Los chicos no lloran con Rafa Sanchez biancovesito e soprattutto Como un lobo con sua cugina Bimba Bosè, vestita come una Paloma Picasso ma con un tatuaggio rosso sul seno destro che è il simbolo di questa famiglia benedetta dal sangue, dal talento, dagli incroci perversi e vitali di cuore e idee e amori. Quando si muove sul palco, Miguel Bosè è il ballerino che ha studiato con Lindsay Kemp poi ha preferito cantare Super superman (qui trionfale) e diventare la faccia maudit del dandismo anni Ottanta e poi il personaggio che il suo amico Pedro Almodóvar non è mai riuscito a infilare così perfetto in un suo copione.
Sarà per questo che durante Si tu no vuelves, che è il singolo del momento, lui saluta lItalia che della gabbia è stato uno dei lati scintillanti e punitivi della sua carriera, prima inzuccherata e poi sciolta nel nulla.
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