«Non hanno raggiunto gli obiettivi minimi e così dovranno ripetere l'anno». Traduzione: erano troppo somari!
La motivazione delle insegnanti dell’istituto Giovanni XXIII di Vicenza non fa una piega. Peccato che i bocciati abbiano appena 6 anni. Insomma, bambini di prima elementare. Una classe dove è notorio che non esistano «obiettivi minimi», almeno sotto il profilo puramente didattico.
La prima elementare è paragonabile infatti a un limbo che precede l’ingresso nel paradiso (o inferno) della scuola vera e propria. È il delicatissimo momento del primo distacco del bimbo dai genitori, dove indossare un grembiulino può rappresentare un trauma. Qui tutto si gioca sul filo di un feeling psicologico tra gli alunni e le loro nuove mamme scolastiche, cioè le maestre. Ed è per questo che la bocciatura appioppata ai bimbi vicentini assume il sapore amaro di un tradimento affettivo, ancor prima che di una punizione legata allo scarso rendimento scolastico. Sul punto sono d’accordo gli ispettori del ministero dell’Istruzione: «In prima elementare - spiegano al Giornale gli esperti di viale Trastevere - la priorità dei docenti deve essere quella di creare una clima di reciproca fiducia e serenità con la scolaresca. In questa fase qualsiasi decisione deve essere mediata, evitando atteggiamenti troppo duri e netti». Un orientamento di cui le maestre dei piccoli «respinti» a Vicenza non hanno tenuto conto, preferendo muoversi su binari opposti. Niente da fare: «Non hanno raggiunto gli obiettivi minimi e così dovranno ripetere l'anno», così i due alunni (un maschio e una femmina) l’anno prossimo ripeteranno la prima. «Un passo non facile, ma ponderato e senza alcun intento punitivo - ha dichiarato al Giornale di Vicenza il preside della Giovanni XXIII -. La decisione di far ripetere l'anno ai due alunni è stata frutto di una valutazione tutt'altro che superficiale delle potenzialità degli alunni a imparare ma anche a recuperare».
Ma cos’è accaduto di tanto grave da giustificare un simile provvedimento? «Le insegnanti - aggiunge il capo d’istituto - hanno ritenuto che non ci fossero i presupposti per il recupero e che il tempo di maturazione dei due bambini richiedesse più tempo rispetto ai coetanei, si è deciso di bocciarli». Insomma, «uno stop scolastico nell'interesse degli stessi bimbi». Fin dalle prime settimane di scuola i due alunni, entrambi italiani (ma uno figlio di madre straniera), avrebbero manifestato «particolari difficoltà nell'apprendimento»; almeno questa è la versione maestre: «Problemi tuttavia non legati a disagio psichico o fisico, ma legati all'esigenza di maggior tempo per imparare quello che i compagni avevano già appreso». Un deficit recuperabile, forse, con l’aiuto di un insegnante di sostegno; invece si è preferito bocciarli. «I nostri figli hanno subìto una decisione troppo penalizzante, difficile da spiegargli», si lamentano i genitori dei due alunni vicentini.
Ma il preside la pensa diversamente: «Se il punto di partenza è basso ma si fanno progressi allora la scuola ha il dovere di considerare i passi avanti, sia pure minimi. Ma se ciò non accade, come in questo caso, allora occorre fare un ragionamento diverso e valutare cos’è meglio per il bene del bambino. È quello che abbiamo fatto.
Dialogando con le famiglie, tenendole informate, avvisandole per tempo delle decisioni che sarebbero state prese. E ponderando attentamente tutte le conseguenze di una decisione simile, a cominciare dal fatto che questi bambini perderanno tutti i loro compagni».Speriamo trovino almeno insegnanti più sensibili.
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