Elogio in memoria della grammatica, uccisa dalla pratica

Egregio (e, mi consenta, caro) Granzotto, desidero sottoporle alcune questioncelle grammaticali e linguistiche che non credo vadano liquidate come semplici nugae: 1 - Esiste una norma sull’uso dell’articolo davanti a sigle, acronimi e simili? A me è capitato, ad esempio, di vedere scritto «il Msi», «lo Msi», e persino «l’Msi»; «il Psi» e «lo Psi»... Recentemente m’è giunta una lettera della mia banca, nella quale si parla di «investimento identificato dall’NSG»! 2 - Spesso si leggono sui quotidiani (anche sul nostro Giornale) titoli come: «Manovra, tagli alle regioni»; «Maturità, i titoli degli scritti»... Non sarebbe più corretto l’uso dei due punti esplicativi («Manovra: i tagli»; «Maturità: i titoli»)? 3- Come sopra: titoli di cronaca come «Sposato con una figlia»; «Coniugato con due figli» sono assurdi e risibili: non si potrebbe almeno aggiungere una «e» («Sposato e con una figlia»; «Coniugato e con due figli»)? 4- È incredibile leggere ancora forme verbali come «intervenì», «malediva», e addirittura (sul nostro Giornale!) «benedì». Nessuno all’interno della redazione s’incarica di correggere simili monstra? Non vado oltre, per non tediarla.
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Be’, no, caro Pirotti: le variazioni indicate al punto uno sono proprio nugae, cretinate. Siccome Fiat è acronimo di Fabbrica italiana automobili Torino, si dirà la Fiat. Siccome Psi sta per Partito socialista italiano, si dirà il Psi. Insomma, comanda la prima parola e dunque la prima lettera della sigla (Il Movimento sociale italiano, Msi, ha però sempre creato problemi. Risolti con un enjambement: nel parlato si dice infatti il Mis e "missini" in luogo di "msini"). Punto due: giusto quanto lei dice, ma deve sapere che norma consuetudinaria del giornalismo è di non usare mai i due punti nei titoli. Una precauzione che risale ai tempi della composizione a «caldo» (linotype, piombo, eccetera). Ai bei tempi i titoli corposi venivano composti a mano e il blocco dei due punti non si armonizzava mai con il corpo del titolo risultando, i due punti, o troppo grandi, o troppo piccoli. Non era un gran bel vedere, per cui quel segno di punteggiatura venne messo al bando. Oggi, con la composizione a freddissimo (computer), figuriamoci: si potrebbero mettere i due punti anche in un titolo corpo novanta. Qualcuno lo fa (io lo facevo), altri davanti ai due punti nei titoli scappano come i vampiri davanti all’aglio. Il punto tre attiene ai tranelli dell’anfibologia, cioè di un enunciato che per l’ambiguità sintattica o semantica può essere interpretato in due modi diversi. Due esempi classici: «Ho visto mangiare un pollo» e «La vecchia porta la sbarra». Nel primo caso non si capisce se il pollo mangia o è mangiato, nel secondo se quel «porta» è intesa come uscio o come voce del verbo portare. Si cade nelle trappole dell’anfibologia quando, per fretta o pigrizia, non si rilegge «da terzi», ovvero come se non lo si avesse scritto di persona, un testo da pubblicare (le anfibologie infiorano anche i romanzi d’oggidì: m’annotati un «Lei appende la radiolina che fornisce la colonna sonora al ramo di un albero», di penna d’una promettente scrittrice. Il burocratese, poi, ne è infiorato: Ricordo un «Risarcimento dei danni alla persona di lieve entità» preso pari pari dal Decreto legge 70/2000). Il punto quattro è doloroso: l’indicativo imperfetto di certi verbi come benedire o maledire sta subendo una mutazione genetica ch’io credo irreversibile. Ma la ragione è sempre quella: la lingua parlata che poi inquinerà quella scritta tende a facilitare la pronuncia.

E tra «benedicevano» e «benedivano», «maledicevamo» e «maledivamo» la seconda e fallace versione ha finito per far aggio sulla prima. Non per lei, caro Pirotti, e per (pochi) altri gloriosi paladini della grammatica ai quali non resta che «resistere, resistere, resistere» all’onda d’urto dei «barbaros».

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