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Elogio di Ringo il Beatles senza qualità

Concerto festa per i 70 anni di Starr a Times Square

Elogio di Ringo il Beatles senza qualità

Non è mai stato un sex symbol ma i suoi 70 anni li porta bene. E Ringo Starr li ha festeggiati a New York con i fasti di un re - o meglio di un Beatle - cantando a Times Square in mezzo ai fan in delirio e incitandoli nostagicamente a gridare «peace and love», mangiando una gigantesca torta tra i Vip all’Hard Rock Cafè (davanti al quale era parcheggiato il bus che i Beatles utilizzarono per il Magical Mistery Tour), suonando la notte scorsa al Radio City Music Hall di pelle nera vestito. Bella la vita di un ex Beatle, anche se sei il più sfigato, o l’ultima ruota del carro, seppur un carro dorato. Ma è giusto celebrare Ringo, l’uomo qualunque (?) che ha ottenuto il massimo con minor fatica; che gusto c’è a celebrare Lennon e McCartney? In fondo hanno solo scritto alcune delle canzoni più importanti del ventesimo secolo. E Harrison, il guru che esplorava nuove tendenze per arricchire il bagaglio culturale dei Fab Four? Facile amarli, commuoversi ascoltando le loro voci, i loro assolo. Ma Ringo ha partorito per la band solo Don’t Pass Me By e Octopus’s Garden che è diventata un inno dei Muppets, ma non è certo indimenticabile. Arriva nei Beatles un po’ per caso ma - pensa la fortuna - al posto di Pete Best poco prima del primo provino alla Emi. Si becca il megasuccesso dall’inizio anche se come batterista non è un fenomeno, anzi; regolare, spartano (all’inizio persino una rullata lo metteva in difficoltà) scompare davanti alla tonitruante tecnica di Keith Moon o John Bonham, ma è il metronomo ideale per l’organizzazione sonora dei Beatles (come Charlie Watts negli Stones). Senza Beatles la sua carriera solista è mediocre. L’idea di esordire con Sentimental Journey, rileggendo classici degli anni ’40, lo fa crocifiggere dai critici e lui si difende, in modo molto poco rock, dicendo: «L’ho fatto per mia madre». Nel ’73 fa vedere di che pasta è fatto volando alto in hit parade con l’album Ringo ed i singoli Photograph, You’re 16, Oh My My ma è un fuoco di paglia: poi tanti concerti (come quello storico per il Bangladesh), tanti dischi, pochi picchi (la leggera e ormai jurassica It Don’t Come Easy), il buco della droga, un’ostinata voglia di continuare (chi s’è accorto due anni fa del cd Liverpool 8?). Sarà anche un comprimario ma è bravo a cavalcare l’onda; un Kissinger del rock che sapeva - così goffo, anonimo e ironico - stemperare le tensioni tra gli altri tre - e che oggi sa come conquistare le grazie di Clapton, Tom Petty, Willie Nelson che lo vogliono sempre dietro ai tamburi con loro. Auguri e complimenti caro vecchio Ringo, nessuno come te ha saputo trasformare la storia in un mestiere.

Per i fan sei sempre un mito, ma la definizione più vera su di te - con buona pace di critici e musicologi - la danno Gino e Michele scrivendo: «I Quattro di Liverpool erano in realtà Tre più uno. perchè Ringo stava agli altri tre come Legrottaglie a Cannavaro-Zambrotta-Buffon. Ma il compianto Brian Epstein non era Moggi e il gruppo restò coeso vincendo senza trucco».

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