Il presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, anche ieri è tornata ad incalzare il governo. «La pazienza sta finendo» ha detto. Cè un elemento di ragionevolezza in ciò che dice. Anche se la sua insistenza sul medesimo punto, da un po di settimane, dà il senso di un cambiamento di (...)
(...) prospettiva.
Partiamo dalla ragionevolezza. La crisi politica in cui è piombato il Paese (che non deriva certo dalla casa di Montecarlo, ma dal ben più sostanziale problema politico con Fini) si fa sentire tra i ceti produttivi. Anche un bambino capirebbe che la non scelta del presidente della Consob, lassenza di un ministro dello Sviluppo economico, lindecisione sullAgenzia Nucleare e via andando, rende ancora più lento il procedere della nostra già lenta burocrazia. Paradossalmente in un Paese in cui il peso dello Stato è inferiore a quello dellItalia, linattivismo di un governo avrebbe minore influenza. Ma da queste parti se la burocrazia si blocca, una bella fetta delleconomia non sa più a che santo votarsi. Da qui a dire che il governo non fa nulla ce ne passa. Ma, insomma, negare il fatto che i giri del governo sono al minimo è da pazzi. Da ciò la ragionevolezza della posizione della signora Marcegaglia. La Confindustria da un po di tempo è diventata ancor di più lassociazione delle grandi imprese, parapubbliche, quelle che maggiormente soffrono della mancanza di una guida forte della politica.
Ma nelle ripetute critiche del leader confindustriale cè anche una dose importante di tattica personale. Proprio la signora ha rifiutato di fare ciò di cui oggi si lamenta: e cioè il ministro dello Sviluppo economico. E bene ha fatto, come amava ripetere un suo grande predecessore, Luigi Lucchini: ad ognuno il proprio mestiere. Ma la Marcegaglia ha un problema interno: è considerata da molti dei suoi associati eccessivamente berlusconiana. Paradosso dei paradossi, la grande critica di questo governo è una superberlusconiana. Eppure è così. Soltanto pochi mesi fa la sua relazione annuale conteneva apprezzamenti per loperato del governo, che (allepoca) ci aveva tenuti al riparo della crisi. Berlusconi, come già detto, la voleva fortemente come suo ministro. La sintesi è che il leader della Confindustria nel suo mandato non sta riuscendo ad avere un comportamento equilibrato. Troppo sbilanciata su Berlusconi prima e oggi eccessivamente critica, quasi a compensare evidentemente gli effetti di ieri. I suoi uomini (più legati alle burocrazie romane che alle imprese) da tempo la avvertivano di questo suo posizionamento. Il vero choc, la grande linea che ha fatto cambiare posizione alla Signora, si chiama Fiat. Quando Marchionne le ha fatto capire che della Confindustria e dei suoi contratti poteva farsene un baffo, il palazzone dellEur ha iniziato a tremare. Segnali poco favorevoli al ruolo sindacale della Confindustria cerano da mesi. La nascita della grande rete di professioni e lavoratori autonomi (la Rete Italia, che per la verità non sta brillando in questi suoi primi mesi di vita), la fuoriuscita un po in tutta Italia di associati di peso (si pensi solo allAmplifon che sbatte le porte della potente Assolombarda) e il Sole 24 Ore che cerca di compensare peso, copie e abbonamenti persi, con il numero delle foto della Signora.
La svolta di Emma non deve dunque essere vista con durezza dal governo. I toni che possono talvolta apparire eccessivi sono figli dellindulgenza di ieri e di qualche problema che oggi ha in casa.
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