Eni, scatta la «missione» irachena

da Milano

Scatta la missione in Irak di Eni che entro l’autunno, dicembre al massimo, conta di espandersi nel Paese del Golfo aggiungendo un altro tassello ai propri «domini» internazionali in Venezuela, Libia, Angola, Nigeria, Russia e Congo. Da quando, qualche mese fa, l’amministratore delegato Paolo Scaroni ha rimarcato l’interesse del gruppo per l’Irak, le trattative procedono spedite sia sul fronte del petrolio sia su quello del gas.
Ieri in un hotel della «zona verde» di Bagdad il secondo incontro in poche settimane. Da una parte del tavolo la delegazione guidata dal numero due del greggio iracheno, dall’altra quella dell’Eni. Il faccia a faccia, specifica lo stesso gruppo italiano, ha riguardato la possibile «cooperazione» su progetti specifici nei settori dell’upstream (esplorazione), della raffinazione, della perforazione e del trasporto di petrolio e gas. In sostanza l’Eni si propone al governo di Bagdad come un partner energetico a tutto tondo, con cui avviare l’intensa opera di ricostruzione post-bellica di cui il Paese necessita dopo la fine del regime di Saddam Hussein.
Dopo lo shopping portato a termine in Venezuela, in Irak il modello scelto ricalca quello applicato in Congo, dove Scaroni ha firmato un accordo per lo sfruttamento di un maxi-giacimento impegnandosi al contempo a investire complessivamente 3 miliardi di dollari da qui al 2011. L’Irak ha bisogno di costruire pozzi, raffinerie, oleodotti, gasdotti e impianti di compressione. Ecco perché, sebbene il cappello formale fosse quello di Saipem, ieri all’incontro erano presenti sia il vice presidente della divisione Gas & Power di Eni, Marco Alverà, sia le prime linee dei rami operativi nell’esplorazione e nella raffinazione.
Al momento non esistono stime ma ogni accordo vale di norma centinaia di milioni, senza considerare la possibilità di stringere joint venture locali. In cambio Eni metterebbe a disposizione tutto il proprio know how di gruppo integrato e un’ottica di investimento a lungo termine. Oltre a una campagna sociale sul territorio che, ad esempio, ha già permesso a 300 ingegneri iracheni di seguire un periodo di formazione alla Scuola Mattei.
Bagdad sembra, quindi, aver aperto le porte all’Eni nell’ambito dello sforzo profuso per risollevarsi facendo leva sul suo asset principale: il petrolio (115 miliardi di barili le riserve accertate, pari al 10% di quelle mondiali).
A metà aprile l’Irak ha infatti comunicato i nomi delle 35 compagnie, su 120, che si erano qualificate a partecipare alle gare d’appalto.

Tra queste figura l’Eni, insieme ad altre grandi multinazionali, come Bp, Chevron, Exxon Mobil, Royal Dutch Shell, Total, ed Edison. Eni spera di avere, grazie alla propria «poliedricità», qualche carta in più da giocare. Ora si entra nella seconda fase.

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