Enrico, sconfitta l’eroina svela la verità agli studenti

Gira lo Stivale in lungo e in largo. Entra ed esce dalle scuole, dalle palestre, degli oratori. Lo guida un fuoco sacro: «Se avessi saputo sul serio cos’era la droga non mi sarei mai fatto». E oggi Enrico Comi, ex tossicodipendente, quarant’anni, esperto in prevenzione non può fare a meno di raccontare la sua esperienza: «Parlo con 13mila ragazzi ogni anno, mi dico: se solo riuscissi ad aiutarne uno tutto questo avrebbe senso». E il «questo» è un sito www.enricocomi.com, un libro «StupeFatto» (Armando 10 euro) che racconta la sua vita - dal primo spinello al coma, al risveglio - e il suo lavoro per l’associazione «Per un futuro migliore» (è in via Leoncavallo). «Mi propongo alle scuole per parlare di droghe ai ragazzi». La maggior parte delle persone non sa davvero cos’è una droga, sostiene Comi, «provate a invitare un bambino a porre questa domanda al papà o alla mamma, si sentirebbe rispondere “è una brutta cosa che non bisogna mai prendere”, “fa male” “è una malattia”. Vi dico che lo spinello dà una sensazione piacevolissima, vi sentite allegri e vi dimenticate dei problemi. Ma, come tutti i veleni provoca assuefazione, per ottenere la sensazione piacevole bisogna aumentare la dose continuamente... alla fine il processo è irreversibile». Nel parlare coi ragazzi Comi è bravissimo, utilizza la tecnica socratica della «Maieutica», riesce a farsi dare le risposte, logiche, dagli studenti, alla fine anche fra i fumatori più convinti si insinua il sospetto che «la canna può far male». «A questo punto mi accorgo che c’è uno spiraglio, i ragazzi si rendono conto che l’informazione può aiutarli». Cosa scopre parlando con i ragazzi? «Capisco subito chi si fa. Sono i più strafottenti, all’inizio ma poi diventano anche i più preoccupati, mi fanno domande, mi cercano. Cosa mi stupisce? Mi chiedono qual è stata la reazione dei miei genitori quando hanno saputo che mi drogavo. Sono molto preoccupati del giudizio dei familiari... Una volta un’insegnante aveva dei sospetti. C’erano tre alunni che sniffavano coca e lo facevano tutti i giorni durante l’intervallo, quando riprendevano le lezioni erano iperagitati, irrequieti al massimo. Il mio consiglio è stato quello di informare le famiglie, anche se non sempre arrivano le reazioni che ti aspetti. Molti negano, dicono che sono fandonie, difendono a spada tratta il figlio». Quanti ragazzi si drogano? «Per la mia esperienza molti di più di quello che ci raccontano le ricerche. Se chiedi a un ragazzo delle superiori ti risponde che il 90 per cento dei suoi compagni si droga o beve».
Un successo personale? «Ero stato chiamato in una scuola per tre anni, si era parlato tanto anche di alcool. Gli studenti mi hanno ringraziato, mi hanno detto che da quando hanno parlato con me hanno smesso di bere nel loro gruppo, che ora tutti considerano l’ubriacarsi un comportamento dannoso. Mi hanno confidato però che se si trovano con altri amici non hanno lo stesso coraggio...».
Enrico Comi ha cominciato a drogarsi per imitare gli amici.

A 14 anni guardava come semidei i compagni che sotto l’effetto dell’eroina avevano cambiato il carattere, «non più timidi ma fighi, spavaldi e simpatici». Ha provato cocaina, Lsd, psicofarmaci, di tutto. Ha perfino spacciato. Molti suoi compagni sono morti.

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