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Obbligo di verifica dell'identità digitale sui social network nell'UE: cosa può cambiare

La spinta dell'Irlanda, che dichiaratamente vuole limitare il fenomeno dei bot e quello degli insulti e delle minacce anonime

Obbligo di verifica dell'identità digitale sui social network nell'UE: cosa può cambiare
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Il tema dell'introduzione dell'obbligo di verifica dell'identità digitale sui social media non è certo una novità, ma di sicuro si è avvertita una spinta più forte fin dal momento in cui l'Irlanda ha annunciato di volerla realizzare durante la sua presidenza UE in programma nel secondo semestre del 2026. L'obiettivo, quantomeno quello dichiarato, è quello di contrastare il fenomeno delle minacce e degli insulti anonimi così come quello dei bot, ma ovviamente si verrebbero a generare delle problematiche dal punto di vista giuridico di difficile soluzione.

I timori circa l'impatto che i social media per i loro contenuti possono avere sui minori sta spingendo il governo irlandese ad andare oltre il Digital Services Act il quale, per quanto delinei degli obblighi di tutela per gli utenti più giovani sulle varie piattaforme, rimane vago dal momento che non è stato tracciato un metodo di verifica dell'età univoco e uniforme per tutti i Paesi dell'UE. Tutto ciò ha portato a una frammentazione tra i vari Stati membri, con un' interpretazione e un approccio normativo spesso molto differenti. Proprio quello che l'Irlanda vorrebbe superare durante la sua presidenza, creando regole comuni a tutti con la promozione di sistemi di verifica dell'età e dell'identità digitale più stringenti, poco equivocabili e non aggirabili. Ma quali dovrebbero essere queste soluzioni? E quali di esse, soprattutto, potrebbero non violare le norme relative alla tutela della privacy? Si parla di

  • verifica documentale, ovvero la raccolta di documenti d’identità e la validazione tramite riconoscimento ottico;
  • verifica biometrica, cioè il confronto facciale tra la foto del documento d'identità e il selfie live, con l'uso di strumenti anti-contraffazione;
  • federated authentication: lo sfruttamento di provider d'identità certificati dall'UE;
  • verifica con terze parti, ottenibile appoggiandosi a operatori di Know Your Customer o esterni in grado di rilasciare in modo affidabile token di identità certificata;
  • esclusiva verifica dell'età, ovvero utilizzando piattaforme note e affidabili come quella di "age verification" della Commissione europea che escludano l'acquisizione di ulteriori dati personali per non infrangere le norme sulla privacy.

Qualunque strada si scelga di percorrere, il rischio di andare oltre il sottile limite della tutela dei dati personali e privati dei cittadini è dietro l'angolo. La grande sfida sarà proprio quella di ottenere l'obiettivo senza sforare: di certo va tenuta presente a livello giuridico la proporzionalità dell'intervento e l'individuazione legittima, precisa e limitata delle finalità dello stesso, soprattutto considerando il fatto che la tracciabilità degli utenti in rete è già di per sé molto elevata.

Oltre ciò, si consideri il fatto che qualunque modifica che implichi l'adozione di un pacchetto di nuovi standard tecnici può letteralmente stravolgere l'architettura dei social media, con conseguenze pesanti per la loro stabilità. Riassumendo,quindi, i punti critici da evitare in fase realizzativa saranno quelli legati alla

  • profilazione: una raccolta massiccia di dati identificativi e biometrici incrementa il rischio di profilazione per finalità estranee a quelle dichiarate;
  • sicurezza: ogni database che accumuli dati sensibili diventa oviettivo prezioso per i cybercriminali, con elevati rischi di data breach;
  • esclusione digitale: chi non dispone di un'identità digitale o ha un acccesso limitato alle tecnologie rischia di essere tagliato fuori;
  • privacy: questo problema può essere superato solo con tecniche di acquisizione esclusiva dell'età dell'utente che prescindano dall'acquisizione di ulteriori informazioni.
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